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Cultura Eventi e Spettacolo

Amelia Mary Earhart, la donna pilota che ha sfidato le convenzioni sociali

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Amelia Mary Earhart (Atchison, 24 luglio 1897, dispersa il 2 luglio 1937 nell’Oceano Pacifico) è ricordata per essere stata la prima donna aviatrice statunitense che il 21 Maggio 1932 ha sorvolato in solitaria l’Oceano Atlantico.

La Earhart sfidò il sistema diventando simbolo universale per tutte le donne dell’epoca. Durante la Grande Guerra, a 23 anni, in un ospedale militare conobbe il pilota Frank Hawks che nel 1920 la invitò a provare l’ebbrezza del volo. Da quel momento, decise di prendere lezioni e con gli scarsi mezzi economici a disposizione, acquistò un biposto di seconda mano dalla fusoliera gialla (“The Canary”). Nel 1928 l’editore George P. Putnam – che in seguito diventerà suo marito – le propose di tentare la trasvolata atlantica affiancandole il pilota Wilmer “Bill” Stultz ed il meccanico Louis “Slim” Gordon Amelia Earhart; in seguito, il 21 Maggio 1932, divenne famosa per essere la prima donna ad aver sorvolato l’Atlantico in solitaria. Nel 1937 pianificò la circumnavigazione del globo, e il 1° giugno partì per quella che sarebbe stata la sua ultima impresa. Dopo aver percorso 35.000 chilometri, l’aereo con i suoi occupanti scomparve in mare, e non fu mai ritrovato. Una donna coraggiosa e determinata che ha dimostrato, in un periodo difficilissimo, che essere donna non è un limite. Come lei, diverse altre donne all’inizio del secolo sono entrate a far parte della storia dell’aviazione. Di seguito i nomi delle prime aviatrici, pioniere di un mondo che per molti anni a venire resterà comunque quasi esclusivamente maschile. Harriet Quimby, nata nel 1875 da un’umile famiglia di agricoltori del Michigan, fu la prima donna ad ottenere la licenza di pilota negli Stati Uniti. Raymonde de LaRoche, nacque a Parigi nel 1882: nel 1913 vinse la Coppa Femina, premio per la prima donna che avesse volato per più di quattro ore consecutive. Bessie Coleman, la prima donna pilota afro-americana che ha lottato e vinto contro la povertà e la discriminazione. Bessie si trasferì in Francia per ottenere il brevetto di pilota in quanto l’ingresso alle scuole di volo americane le era negato a causa del suo sesso e della sua razza. Elsie MacKay, nacque in India nel 1893 da una altolocata famiglia britannica. Prima donna a riuscirci in Gran Bretagna, ottenne la licenza di pilota nel 1923. Mary Russell, Duchessa di Bedford, cominciò ad appassionarsi al volo a 63 anni. Ha battuto diversi record, in particolare per avere coperto grandi distanze. Amy Johnson, nacque in Gran Bretagna nel 1903, e nel 1929 prese la licenza da pilota. Nel 1930 la Johnson ottenne un riconoscimento mondiale per essere stata la prima donna a volare in solitaria dall’Inghilterra all’Australia. Cornelia Fort (5 febbraio 1919 – 21 Marzo 1943), donna pilota statunitense, è passata alla storia dell’aviazione per due eventi: è stata il primo pilota statunitense ad incontrare la flotta aerea giapponese (durante lo storico attacco di Pearl Harbor, nel 1941) ed è diventata il secondo membro di quella che poi divenne la WASP (Women Airforce Service Pilots) nel 1942. Il 21 marzo 1943, il suo aereo precipitò mentre era in servizio attivo. Nel 2009, il presidente Barack Obama ha onorato La Fort e altre 37 donne pilota morte durante la Seconda Guerra mondiale con la Medaglia d’Oro del Congresso. All’inizio del secolo scorso, si voleva che le donne fossero relegate in casa, ad occuparsi della famiglia, ma alcune di loro hanno sfidato le convenzioni sociali e sono entrate a far parte della storia dell’aviazione. Queste donne sono la conferma che “la cosa più difficile è la decisione di agire, il resto è pura tenacia”, come ebbe ad affermare, giustamente, la stessa Amelia Mary Earhart.

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Giornata delle Forze Armate – Il 4 Novembre ad Ariano la cerimonia per il Giorno dell’Unità Nazionale

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L’Amministrazione Comunale di Ariano Irpino, in una sobria e solenne cerimonia, vuole  commemorare i Caduti di tutte le Guerre, rendere omaggio alle Forze Armate, celebrando la Festa dell’Unità Nazionale, in ricordo della fine della prima Guerra Mondiale.

Appuntamento lunedì 4 novembre 2024 alle ore 10,00 al Piano della Croce presso il Monumento ai Caduti dove, alla presenza delle Autorità Civili, Militari e  Religiose, verrà   deposta la   Corona di alloro, sulle note dell’Inno Nazionale.

Una  Corona di Alloro verrà deposta anche davanti al busto di Giulio Lusi in Villa Comunale e nell’atrio di Palazzo di Città.

Il messaggio istituzionale  è rivolto alle nostre giovani generazioni, per non dimenticare  i nostri Caduti in Guerra, morti per gli ideali risorgimentali di indipendenza, di libertà, di democrazia che hanno determinato l’Unità d’Italia ed esprimere riconoscenza per coloro che ancora oggi rischiano la vita al Servizio della Comunità.

La cittadinanza  è invitata a partecipare.

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Roberto Zaffiro: vi racconto la mia Africa e vi invito a diventare benefattori

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Imprenditore nel settore edile (azienda di dieci dipendenti), insieme ad altri due fratelli, sposato e con due figli, Roberto Zaffiro, con il pieno sostegno della famiglia, si dedica anima e corpo alla missione che lo appassiona e gratifica di più: dalla costruzione di pozzi e scuole, ai presidi ospedalieri, in Africa. Il 5 novembre partirà per la Nigeria e in gennaio per il Benin

“Un tempo ero laico, poi a 37 anni, 20 anni fa, c’è stata la mia conversione, a seguito del viaggio a Medugorje, – ci racconta. Il senso di solidarietà l’ho però sempre avuto nel DNA, tanto che ogni volta che ho girato il mondo, ho sempre elargito del denaro, ai bisognosi che mi è capitato di incontrare”.  

                                                                                                                                            

Quando hai capito che la tua missione era dedicarti in maniera più completa agli altri?                                                                              

 La svolta a seguito del viaggio a Medugorje. Fino ad allora ero stato una sorta di superficiale credente praticante, che girava il mondo, compresa l’Africa, anche in moto, e non dava grande importanza ai sacramenti e alla preghiera. In quel luogo, come se avessi improvvisamente intuito le mie miserie e fragilità, ho pianto molto e ho capito che dovevo cambiare la mia vita e relazionarmi in maniera diversa con Dio. È cominciata così la mia conversione, incrementando anche la frequentazione della Chiesa, finché a Montevergine (AV) non ho incontrato padre Jean Baptist, sacerdote originario del Benin (Diocesi Kandi-Benin), specializzatosi a Roma. Siamo diventati amici e, dopo che mi ha mostrato le carenze d’acqua nel suo villaggio, gli ho donato un pozzo. Quando è tornato in Africa, mi ha fatto promettere che sarei andato a trovarlo. Nel 2012 l’ho raggiunto e ho cominciato a guardare l’Africa con occhi nuovi, mi sono reso conto della vita di sofferenza della popolazione: bambini e adulti che bevevano dalle pozzanghere esponendosi a malattie, quando non la morte, bambini costretti a percorrere chilometri con le taniche in testa per approvvigionarsi dell’acqua. Un pozzo è una fonte di acqua viva utile a diverse comunità, talvolta serve fino a diecimila persone o più (dipende dalla grandezza dei villaggi) e nel tempo, cambia radicalmente la loro vita: cominciano ad allevare animali, a praticare l’agricoltura. L’acqua è di interesse primario: il 60-70 per cento dei nostri fondi li impieghiamo nella costruzione dei pozzi, a cui facciamo seguire attività ambulatoriali, considerando che, per accedere all’assistenza sanitaria, bisognerebbe percorrere centinaia di chilometri e talvolta non c’è il tempo, né la possibilità, di farlo. Molte malattie derivano dalla mancanza di igiene, dal fatto che non ci si può lavare: da una banale diarrea si passa alla febbre, inizia la sofferenza, che diventa acuta, poi grave e infine, può portare alla morte. Un piccolo presidio sanitario, con almeno uno-due infermieri e un medico, serve a trasmettere i fondamenti dell’igiene necessari a prevenire diverse malattie, anche se, per quelle più gravi, bisogna recarsi presso gli ospedali. Agli ambulatori cerchiamo di affiancare la promozione dell’istruzione di base che consenta ai più poveri, che non possono permettersi la scuola, almeno di difendere i diritti propri e della famiglia: l’istruzione emancipa e salva il mondo.                                                                                                                                                                             Come individuate dove costruire un pozzo?    

                                                                                                                                                   

Primo step individuare il punto, poi una sorta di rabdomante, col talento sensibile nelle mani, scopre dove potrebbe esserci più acqua, quindi arriva la trivella, che in genere scava per 4-5 ore, con tutta la popolazione intorno, che festeggia il grande evento, che cambierà la loro la vita. Il primo getto d’acqua, è un vero spettacolo: vediamo la gioia dei bambini e della gente. Documentiamo tutto in diretta e lo postiamo sui social, poi, a fine missione, montiamo un filmato che mostreremo ad amici, conoscenti e benefattori, nonché a chi volesse diventarlo. Vogliamo dimostrare che facciamo opere concrete e cerchiamo di renderci utili, per alleviare almeno in parte, la sofferenza di quelle popolazioni. Realizzare un pozzo costa circa 7-8 mila euro, ma dipende dal luogo, dalla quantità e dalla profondità del terreno. Un ambulatorio sanitario, così come una scuola, costa intorno ai 20-30 mila euro, a seconda delle dimensioni.                                                                                             

Finora abbiamo realizzato 24 pozzi in Benin, uno in Malawi e 5 in Nigeria, che servono una popolazione complessiva di circa 350 mila abitanti.  

                                                                                                                                                                

La strada la preparano i religiosi, che, oltre alle lingue locali, compresi i vari dialetti, parlano inglese, francese ed italiano. Con le loro diocesi, di dimensioni notevoli, sono radicati sul territorio, interloquiscono coi capi villaggio, i quali, al di là dei diversi credo religiosi, convivono senza combattersi. Ogni iniziativa la condividiamo con i capi delle comunità: acqua, sanità, scuola, sono per tutti, cristiani, musulmani, animalisti. Questo ci consente anche di approcciarci a quei territori senza temere per la nostra incolumità.

                                                                                                                                                                                                                                                                      

Con quali modalità raccogliete le risorse necessarie?     

                                                                                                                                       

  I fondi vengono raccolti sia con la promozione di giornate di beneficenza, sia nelle chiese, attraverso l’associazione Regina della Pace e Carità (con sede in Flumeri, AV), finalizzata a promuovere e gestire interventi di cooperazione allo sviluppo e progresso umano, economico e sociale, attraverso la costruzione di pozzi, scuole, ambulatori, orfanotrofi e chiese, nei Paesi in via di sviluppo. Nata allo specifico scopo della missione in Africa, la onlus è composta da 12 persone, 3 delle quali, sacerdoti africani. I sacerdoti, vivendo in Africa, conoscono il territorio e poiché ogni anno vengono in Italia, fermandosi per circa 40 giorni presso le parrocchie, ci aiutano a progettare le sfide che realizzeremo insieme. Sono loro i veri esecutori delle opere: i pozzi si scavano rapidamente in nostra presenza, ma per le altre opere che invece richiedono mesi, noi ogni anno andiamo a verificare ciò che è stato realizzato e lo inauguriamo insieme. Quest’anno abbiamo realizzato 3 pozzi in Benin e altri 3 ne realizzeremo entro fine anno in Nigeria: partiremo il 5 novembre, per tornare il 19. Per l’inizio del 2025 realizzeremo una chiesa e ancora 4 pozzi in Benin, nonché giornate sanitarie e visite agli orfanotrofi locali. Giacché abbiamo costruito tre ambulatori in Benin, tra cui un ospedale della maternità, promuoveremo la formazione sanitaria, invitando le popolazioni limitrofe, alle quali si insegnerà la prevenzione di base e doneremo dei medicinali, che, su indicazione dei medici locali, acquistiamo direttamente in loco o nelle città più grandi, che distano anche fino a 250 km. Spesso i bambini hanno la pancia gonfia dovuta ai vermi, così acquistiamo il farmaco per la sverminazione, che costa un euro e mezzo e salva loro la vita o la tachipirina, utile in caso di febbre alta. Molti bambini vengono abbandonati nella savana, se la famiglia a causa dell’estrema povertà non può mantenerli, oppure se malati o albini (pensano siano indemoniati), così suore, preti e laici, li raccolgono e li portano negli istituti religiosi dotati di orfanotrofi (30-40 posti), che però soffrono difficoltà economiche e alimentari. Quando li visitiamo, doniamo una metà delle offerte in beni materiali, riso, olio e latte in polvere, e il resto, tra i mille e i tremila euro (a seconda di ciò di ciò che siamo riusciti a mettere da parte), lo diamo alla struttura come sostegno economico. Cerchiamo di metterli in condizioni di andare avanti per qualche mese, di dare ai loro ospiti una speranza per il futuro. Nel 2026 in Malawi vorremmo realizzare un orfanotrofio per bambini abbandonati e disabili e 2-3 pozzi, per cui stiamo raccogliendo fondi e invitiamo chiunque potesse e volesse, a contribuire.                                                                                                                                                              

 Che altro fare per aiutare concretamente gli Africani?                            

                                                                                                        

  I governi locali dovrebbero preoccuparsi, per cominciare, di dare l’acqua, consentire l’istruzione e la sanità, che fornirebbe a quelle popolazioni i mezzi per progredire ed essere autonome a casa loro. In tal modo, non avrebbero bisogno di rischiare la vita sui barconi, per illusioni irrealizzabili. Purtroppo i loro governanti sono spesso dittatori che non hanno alcun interesse a metterli in condizioni di autosufficienza, ma preferiscono tenerli nell’ignoranza, per poterli gestire.                                                                                                                  

Dal canto nostro, immersi nel benessere, noi consumiamo cose inutili, sprechiamo e buttiamo. Vorrei esortare a pensare a chi ora sta soffrendo, destinando ciò che per noi è superfluo a chi invece ha necessità basilari. Per dirla con madre Teresa di Calcutta: la condivisione sconfigge la povertà.                                                      

 Siete in procinto di partire per la prossima missione…

                                                                                                                              

 Il 5 novembre partiremo per la Nigeria per due settimane. Sarò accompagnato da due nuovi benefattori, Giovanni Parrella di Motesarchio (BN), e Angela Ciasullo di Flumeri, che documenterà i lavori anche filmando e, per la missione, è riuscita a superare la sua antica paura per gli aghi, poiché ha dovuto vaccinarsi, e persino quella di volare. Ognuno di noi ha sostenuto autonomamente il costo del biglietto (1.000 €) e dei visti (300 €).                                                                                                                                                                              Dal 16 gennaio al 5 febbraio tornerò in Benin, ancora con Angela Ciasullo e i parroci: Don Alessandro Pascale, di Prato Principato Ultra, Don Alberico Grella, di Sturno, Don Rino Morra, di Bisaccia e chiunque volesse aggiungersi”. 

                                                                                                                                                                                                                                  

I prossimi eventi per raccogliere fondi e visionare quanto realizzato in Benin: sabato 30 novembre 2024 alle 20, cena di beneficenza (20 €) presso i Saloni dell’Oratorio ANSPI San Prisco (Via Grotte) a Passo Eclano (AV); domenica 8 dicembre 2024 a Zungoli (AV), ore 13 pranzo di beneficenza (25 €), presso il Convento San Francesco. Ulteriori informazioni (e prenotazioni) su: https://www.reginadellapaceecarita.org

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 “Ariano si illumina di rosa”successo dell’iniziativa ben oltre le aspettative

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Si è appena conclusa l’iniziativa del Lions Club di Ariano Irpino Ariano si illumina di rosa, svoltasi il 26 e 27 ottobre in collaborazione con l’associazione “The Power of Pink”, iniziativa dedicata alla sensibilizzazione sulla prevenzione dei tumori al seno.

Hanno aderito all’iniziativa diverse realtà locali, tra cui:

• L’Amministrazione Comunale, con l’illuminazione dipalazzo di Città di rosa durante le ore notturne e l’esposizione di un fiocco rosa simbolo della lotta contro i tumori al seno;

• L’ASL di Avellino, anche questa illuminando di rosa l’ingresso principale del PO Sant’Ottone e con il personale che ha indossato un fiocchetto rosa nei giorni dell’evento;

• La Diocesi di Ariano Irpino, con l’illuminazione di rosa delcampanile della Cattedrale e l’esposizione di un fiocco rosa sul portone d’ingresso principale;

• I Commercianti: la cui quasi totalità ha esposto il fiocco rosa, allestito con decorazioni in rosa e illuminato in qualsiasi modo le proprie vetrine in entrambe le serate;

• L’ Amministrazione Penitenziaria di Ariano Irpino – Casa Circondariale “Pasquale Campanello” che ha lasciato illuminato il locale portineria con l’esposizione del fiocco rosa;

• Le Squadre di Pallacanestro FERRARO Group Basket Ariano e A.S.D. Angri Pallacanestro, le cui giocatrici hanno indossato il fiocchetto rosa prima della partita disputata domenica 27 al palazzetto dello Sport di Ariano Irpino;

• Le banche BPER e Intesa Sanpaolo, filiali di Ariano Irpino,che hanno esposto il fiocco rosa e lasciato accese le luci nelle ore notturne.

Il successo dell’iniziativa è andato ben oltre le nostre più rosee aspettative: riuscire a coinvolgere l’intera comunità su un tema così importante quale quello della prevenzione dei tumori al seno è stata per noi del Lions Club di Ariano Irpino un motivo di orgoglio e straordinaria gratificazione.

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