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Emergenza Covid-19 Vittorio Melito:”Facciamoci sentire”

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Qualcuno mi chiede di “dare i numeri”, di nuovo, ma c’è poco da aggiungere. 9 casi sui 10 dell’intera provincia negli ultimi quattro giorni si commentano da soli. Come curiosità, vale forse la pena di sottolineare che ieri sono stati 4 su 32 nell’intera Regione (il 25%), come se ad Ariano ci fossero 1.450.000 abitanti circa, cioè più dei cinque capoluoghi di provincia messi insieme).

E’ evidente che la crisi non è superata e che la nostra Città continua a pagare un prezzo esageratamente alto.

A forza di insistenze, si è riusciti a sapere qualcosa dalla ASL. Fra i dati mai comunicati, quanti contagiati arianesi sono stati ricoverati in terapia intensiva o in degenza ordinaria, e quanti invece in isolamento domestico (dati invece noti a livello nazionale e regionale). Le voci correnti vogliono far credere che i ricoverati sono quasi quanti i contagiati e che la maggior parte degli affetti da Covid 19 rimasti a casa non sono mai stati censiti. Quel che mi sento di ribadire è che i controlli con tamponi non sono stati fatti nemmeno alla maggior parte dei contatti stretti dei positivi e che questa infinita coda di nuovi contagi lo dimostra. Da due giorni si parla di casi secondari, derivati da primari già accertati. Non capisco: finora erano stati tutti primari? Nessuno aveva mai contagiato propri stretti contatti?

Il responsabile del dipartimento di prevenzione ha dichiarato che il virus circolava già a fine febbraio e che ad Ariano sono stati individuati quattro cluster (raggruppamenti di elementi omogenei, secondo il dizionario; in pratica luoghi dai quali sono scaturiti più contagi con la stessa origine). Sono sicuro che il dott. Manzi non mi smentirà se affermo che il più numeroso è stato l’ospedale, seguito dal centro Minerva e dalle famose (per me un po’ fantomatiche) feste. Insisto a dire che l’unico modo per verificare la situazione reale è l’esecuzione di tamponi a tappeto: al centro Minerva è stato fatto, all’ospedale no. Da quelle premesse consegue che, non solo nell’immediato ma anche adesso, si continua a correre dietro all’infezione, senza prevederne i percorsi di diffusione per meglio contenerla.

Sull’esecuzione di tamponi mi limito a richiamare quanto stabilito dalla circolare del Ministero della Salute in data 3 aprile 2020. Scomparsa la perniciosa limitazione ai sintomatici, è ora prescritto, come ho già scritto in altra occasione, che i tamponi devono essere eseguiti dando priorità a: pazienti ospedalizzati con infezione acuta respiratoria grave; tutti i casi di infezione respiratoria acuta ospedalizzati o ricoverati nelle residenze sanitarie assistenziali e nelle altre strutture di lunga degenza; operatori sanitari esposti a maggior rischio; operatori dei servizi pubblici essenziali sintomatici, anche affetti da lieve sintomatologia per decidere l’eventuale sospensione dal lavoro; operatori, anche asintomatici, delle RSA e altre strutture residenziali per anziani; persone a rischio di sviluppare una forma severa della malattia e fragili, come persone anziane con comorbilità, ivi incluse le persone vulnerabili, quali le persone che risiedono in residenze per anziani; primi individui sintomatici all’interno di comunità chiuse. Il Ministero (non io) parla di tamponi, non di test.

La città è stata devastata: i numeri e lo stesso regime di zona rossa protratto per 38 giorni dimostrano che c’era e c’è bisogno di uno sforzo eccezionale, non paragonabile alla media, per limitare i danni, ripartire in sicurezza e creare le premesse per non ritornare in una analoga situazione di crisi se e quando l’epidemia riprenderà vigore.

Io penso che si debba chiedere con forza alla dirigenza ASL, se vuole recuperare un minimo di considerazione nella nostra comunità (ammesso che le interessi):

  • di procedere a tamponi di massa secondo le indicazioni della citata circolare, a partire dal personale tutto dell’ospedale
  • di procedere poi a serie indagini epidemiologiche, su vasti campioni di popolazione scientificamente individuati e con test saranno validati dal Ministero, per tracciare l’effettiva diffusione del virus e quantificare la presenza nella popolazione di malati, guariti, immuni ed asintomatici
  • di ripristinare tutte le unità operative (Medicina compresa) ed i servizi dell’ospedale
  • di trasferire l’area Covid nell’ala vecchia, ma non con un semplice trasloco, bensì mirando a realizzare una struttura di eccellenza (un piccolo Cotugno), con personale dedicato e formato, camere di depressurizzazione, procedure di vestizione e svestizione adeguate a malattie infettive, percorsi rigidamente differenziati e con accesso a strutture diagnostiche e di servizio a loro volta differenziati (ad es., radiologia, fisioterapia, lavanderia, mensa o la stessa camera mortuaria); ovviamente, queste sono solo le impressioni di un profano, serviranno competenze qualificate per definire le modalità.

La gestione di un reparto di malattie infettive è estremamente delicata e richiede estrema specializzazione; adesso non c’è più l’assillo dell’urgenza, se in autunno si dovesse ripresentare l’emergenza non ci saranno più pretesti per scusare l’approssimazione e la localizzazione delle fonti di contagio in un luogo di cura.

Qualche giorno fa mi sono permesso di segnalare che nei giorni per noi più bui furono stanziati 438.000 euro per la terapia intensiva Covid a Sant’Angelo dei Lombardi, dove fortunatamente non è mai servita e ci auguriamo che mai servirà.

Io domani tenterò di inviare per posta elettronica – indirizzata alla ASL e per conoscenza a Comune, Prefettura e Regione – queste richieste.

Esse, o altre analoghe, a mio avviso possono essere formalmente presentate – via mail o con qualsiasi mezzo possibile in questo periodo di isolamento sociale – dai cittadini, dagli operatori sanitari (ospedalieri, medici di famiglia, di continuità assistenziale, del 118 ecc.), dai partiti politici, dai sindacati, dalle forze sociali, dalle associazioni e da tutte le articolazioni della società civile che hanno recentemente e giustamente rivendicato il merito dell’assegnazione della radioterapia all’ospedale di Ariano.

Esso deve essere un nostro vanto, da difendere con tenacia e determinazione. Lo dobbiamo a chi non ce l’ha fatta, a chi ci lavora, a chi si sta tanto impegnando in questo periodo ed a noi stessi che lì abbiamo trovato e troveremo salvezza.

Voglio aggiungere un’ultima cosa.

Io non sarò mai più nella mia vita candidato a nessuna carica: non lo posso e non lo voglio. L’ineleggibilità che deriva dalla funzione lavorativa attualmente svolta, le condizioni di salute, le ragioni che venti anni fa mi indussero a non ripropormi come Sindaco e che permangono inalterate, mi consentono di affermare senza tema di smentita che intervengo solo per amore della Città, senza alcun secondo fine.

Proprio per la tranquillità che mi deriva da questa condizione, invito tutti coloro che (ad ottobre o quando sarà) si proporranno per amministrare Ariano, a farsi sentire e prendere posizione su questi temi che riguardano la salute e la sicurezza: se non vengono prima assicurate queste, purtroppo tutte le strategie sulla ripresa economica rischiano di essere inutili. Fate perciò in modo di potervi presentare agli elettori a testa alta e di poter rivendicare quanto fatto in questa emergenza, non per calcoli elettoralistici ma per dignità nei confronti di questa martoriata città.

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Pallavolo Serie D – Esordio fuori casa per il GSA Pallavolo Ariano

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Dopo aver conquistato nella scorsa stagione la promozione in serie D, la Coppa e la SuperCoppa IrpiniaSannio,  il GSA PALLAVOLO ARIANO sabato 2 novembre scende in campo a Cava dei Tirreni per la prima gara del campionato di serie D maschile.

La partita inizierà alle ore 19.30 per dare avvio ad una nuova fase agonistica che il GSA intende giocare  per l’alta classifica.

Confermato lo staff tecnico con Giulio Filomena e Nico Medici a guidare il gruppo nel quale saranno ancora  G. Santosuosso, L. Guardabascio e R. Caso  punti di riferimento per giovani promettenti come M. Molinario, M. Ninfadoro , C. Capozzi e P.Borriello. La qualità non manca nel resto della squadra con  G. Ricciardi, A. La Luna, L. Schiavo, H. Chiaradonna, A. Iandoli, T. Barrasso , M. Toriello  a disposizione dei tecnici per dimostrare di  valere la categoria.

Per questa importante avventura regionale, la società arianese è pronta  anche a lanciare i giovanissimi dell’Under 17 che già hanno messo in mostra il loro positivo spessore con una vittoria per 3-0 nel debutto casalingo con i pari età dell’Academy nel torneo territoriale di categoria.

Per l’esordio fuori casa gli arianesi dovranno aspettarsi una gara difficile e confrontarsi con un avversario molto solido; il fattore campo può aiutare i cavesi, ma il GSA deve subito metabolizzare le difficoltà della serie regionale e scendere sul parquet con la consapevolezza di saper imporre il proprio gioco  per conquistare la vittoria.

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Giornata delle Forze Armate – Il 4 Novembre ad Ariano la cerimonia per il Giorno dell’Unità Nazionale

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L’Amministrazione Comunale di Ariano Irpino, in una sobria e solenne cerimonia, vuole  commemorare i Caduti di tutte le Guerre, rendere omaggio alle Forze Armate, celebrando la Festa dell’Unità Nazionale, in ricordo della fine della prima Guerra Mondiale.

Appuntamento lunedì 4 novembre 2024 alle ore 10,00 al Piano della Croce presso il Monumento ai Caduti dove, alla presenza delle Autorità Civili, Militari e  Religiose, verrà   deposta la   Corona di alloro, sulle note dell’Inno Nazionale.

Una  Corona di Alloro verrà deposta anche davanti al busto di Giulio Lusi in Villa Comunale e nell’atrio di Palazzo di Città.

Il messaggio istituzionale  è rivolto alle nostre giovani generazioni, per non dimenticare  i nostri Caduti in Guerra, morti per gli ideali risorgimentali di indipendenza, di libertà, di democrazia che hanno determinato l’Unità d’Italia ed esprimere riconoscenza per coloro che ancora oggi rischiano la vita al Servizio della Comunità.

La cittadinanza  è invitata a partecipare.

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Roberto Zaffiro: vi racconto la mia Africa e vi invito a diventare benefattori

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Imprenditore nel settore edile (azienda di dieci dipendenti), insieme ad altri due fratelli, sposato e con due figli, Roberto Zaffiro, con il pieno sostegno della famiglia, si dedica anima e corpo alla missione che lo appassiona e gratifica di più: dalla costruzione di pozzi e scuole, ai presidi ospedalieri, in Africa. Il 5 novembre partirà per la Nigeria e in gennaio per il Benin

“Un tempo ero laico, poi a 37 anni, 20 anni fa, c’è stata la mia conversione, a seguito del viaggio a Medugorje, – ci racconta. Il senso di solidarietà l’ho però sempre avuto nel DNA, tanto che ogni volta che ho girato il mondo, ho sempre elargito del denaro, ai bisognosi che mi è capitato di incontrare”.  

                                                                                                                                            

Quando hai capito che la tua missione era dedicarti in maniera più completa agli altri?                                                                              

 La svolta a seguito del viaggio a Medugorje. Fino ad allora ero stato una sorta di superficiale credente praticante, che girava il mondo, compresa l’Africa, anche in moto, e non dava grande importanza ai sacramenti e alla preghiera. In quel luogo, come se avessi improvvisamente intuito le mie miserie e fragilità, ho pianto molto e ho capito che dovevo cambiare la mia vita e relazionarmi in maniera diversa con Dio. È cominciata così la mia conversione, incrementando anche la frequentazione della Chiesa, finché a Montevergine (AV) non ho incontrato padre Jean Baptist, sacerdote originario del Benin (Diocesi Kandi-Benin), specializzatosi a Roma. Siamo diventati amici e, dopo che mi ha mostrato le carenze d’acqua nel suo villaggio, gli ho donato un pozzo. Quando è tornato in Africa, mi ha fatto promettere che sarei andato a trovarlo. Nel 2012 l’ho raggiunto e ho cominciato a guardare l’Africa con occhi nuovi, mi sono reso conto della vita di sofferenza della popolazione: bambini e adulti che bevevano dalle pozzanghere esponendosi a malattie, quando non la morte, bambini costretti a percorrere chilometri con le taniche in testa per approvvigionarsi dell’acqua. Un pozzo è una fonte di acqua viva utile a diverse comunità, talvolta serve fino a diecimila persone o più (dipende dalla grandezza dei villaggi) e nel tempo, cambia radicalmente la loro vita: cominciano ad allevare animali, a praticare l’agricoltura. L’acqua è di interesse primario: il 60-70 per cento dei nostri fondi li impieghiamo nella costruzione dei pozzi, a cui facciamo seguire attività ambulatoriali, considerando che, per accedere all’assistenza sanitaria, bisognerebbe percorrere centinaia di chilometri e talvolta non c’è il tempo, né la possibilità, di farlo. Molte malattie derivano dalla mancanza di igiene, dal fatto che non ci si può lavare: da una banale diarrea si passa alla febbre, inizia la sofferenza, che diventa acuta, poi grave e infine, può portare alla morte. Un piccolo presidio sanitario, con almeno uno-due infermieri e un medico, serve a trasmettere i fondamenti dell’igiene necessari a prevenire diverse malattie, anche se, per quelle più gravi, bisogna recarsi presso gli ospedali. Agli ambulatori cerchiamo di affiancare la promozione dell’istruzione di base che consenta ai più poveri, che non possono permettersi la scuola, almeno di difendere i diritti propri e della famiglia: l’istruzione emancipa e salva il mondo.                                                                                                                                                                             Come individuate dove costruire un pozzo?    

                                                                                                                                                   

Primo step individuare il punto, poi una sorta di rabdomante, col talento sensibile nelle mani, scopre dove potrebbe esserci più acqua, quindi arriva la trivella, che in genere scava per 4-5 ore, con tutta la popolazione intorno, che festeggia il grande evento, che cambierà la loro la vita. Il primo getto d’acqua, è un vero spettacolo: vediamo la gioia dei bambini e della gente. Documentiamo tutto in diretta e lo postiamo sui social, poi, a fine missione, montiamo un filmato che mostreremo ad amici, conoscenti e benefattori, nonché a chi volesse diventarlo. Vogliamo dimostrare che facciamo opere concrete e cerchiamo di renderci utili, per alleviare almeno in parte, la sofferenza di quelle popolazioni. Realizzare un pozzo costa circa 7-8 mila euro, ma dipende dal luogo, dalla quantità e dalla profondità del terreno. Un ambulatorio sanitario, così come una scuola, costa intorno ai 20-30 mila euro, a seconda delle dimensioni.                                                                                             

Finora abbiamo realizzato 24 pozzi in Benin, uno in Malawi e 5 in Nigeria, che servono una popolazione complessiva di circa 350 mila abitanti.  

                                                                                                                                                                

La strada la preparano i religiosi, che, oltre alle lingue locali, compresi i vari dialetti, parlano inglese, francese ed italiano. Con le loro diocesi, di dimensioni notevoli, sono radicati sul territorio, interloquiscono coi capi villaggio, i quali, al di là dei diversi credo religiosi, convivono senza combattersi. Ogni iniziativa la condividiamo con i capi delle comunità: acqua, sanità, scuola, sono per tutti, cristiani, musulmani, animalisti. Questo ci consente anche di approcciarci a quei territori senza temere per la nostra incolumità.

                                                                                                                                                                                                                                                                      

Con quali modalità raccogliete le risorse necessarie?     

                                                                                                                                       

  I fondi vengono raccolti sia con la promozione di giornate di beneficenza, sia nelle chiese, attraverso l’associazione Regina della Pace e Carità (con sede in Flumeri, AV), finalizzata a promuovere e gestire interventi di cooperazione allo sviluppo e progresso umano, economico e sociale, attraverso la costruzione di pozzi, scuole, ambulatori, orfanotrofi e chiese, nei Paesi in via di sviluppo. Nata allo specifico scopo della missione in Africa, la onlus è composta da 12 persone, 3 delle quali, sacerdoti africani. I sacerdoti, vivendo in Africa, conoscono il territorio e poiché ogni anno vengono in Italia, fermandosi per circa 40 giorni presso le parrocchie, ci aiutano a progettare le sfide che realizzeremo insieme. Sono loro i veri esecutori delle opere: i pozzi si scavano rapidamente in nostra presenza, ma per le altre opere che invece richiedono mesi, noi ogni anno andiamo a verificare ciò che è stato realizzato e lo inauguriamo insieme. Quest’anno abbiamo realizzato 3 pozzi in Benin e altri 3 ne realizzeremo entro fine anno in Nigeria: partiremo il 5 novembre, per tornare il 19. Per l’inizio del 2025 realizzeremo una chiesa e ancora 4 pozzi in Benin, nonché giornate sanitarie e visite agli orfanotrofi locali. Giacché abbiamo costruito tre ambulatori in Benin, tra cui un ospedale della maternità, promuoveremo la formazione sanitaria, invitando le popolazioni limitrofe, alle quali si insegnerà la prevenzione di base e doneremo dei medicinali, che, su indicazione dei medici locali, acquistiamo direttamente in loco o nelle città più grandi, che distano anche fino a 250 km. Spesso i bambini hanno la pancia gonfia dovuta ai vermi, così acquistiamo il farmaco per la sverminazione, che costa un euro e mezzo e salva loro la vita o la tachipirina, utile in caso di febbre alta. Molti bambini vengono abbandonati nella savana, se la famiglia a causa dell’estrema povertà non può mantenerli, oppure se malati o albini (pensano siano indemoniati), così suore, preti e laici, li raccolgono e li portano negli istituti religiosi dotati di orfanotrofi (30-40 posti), che però soffrono difficoltà economiche e alimentari. Quando li visitiamo, doniamo una metà delle offerte in beni materiali, riso, olio e latte in polvere, e il resto, tra i mille e i tremila euro (a seconda di ciò di ciò che siamo riusciti a mettere da parte), lo diamo alla struttura come sostegno economico. Cerchiamo di metterli in condizioni di andare avanti per qualche mese, di dare ai loro ospiti una speranza per il futuro. Nel 2026 in Malawi vorremmo realizzare un orfanotrofio per bambini abbandonati e disabili e 2-3 pozzi, per cui stiamo raccogliendo fondi e invitiamo chiunque potesse e volesse, a contribuire.                                                                                                                                                              

 Che altro fare per aiutare concretamente gli Africani?                            

                                                                                                        

  I governi locali dovrebbero preoccuparsi, per cominciare, di dare l’acqua, consentire l’istruzione e la sanità, che fornirebbe a quelle popolazioni i mezzi per progredire ed essere autonome a casa loro. In tal modo, non avrebbero bisogno di rischiare la vita sui barconi, per illusioni irrealizzabili. Purtroppo i loro governanti sono spesso dittatori che non hanno alcun interesse a metterli in condizioni di autosufficienza, ma preferiscono tenerli nell’ignoranza, per poterli gestire.                                                                                                                  

Dal canto nostro, immersi nel benessere, noi consumiamo cose inutili, sprechiamo e buttiamo. Vorrei esortare a pensare a chi ora sta soffrendo, destinando ciò che per noi è superfluo a chi invece ha necessità basilari. Per dirla con madre Teresa di Calcutta: la condivisione sconfigge la povertà.                                                      

 Siete in procinto di partire per la prossima missione…

                                                                                                                              

 Il 5 novembre partiremo per la Nigeria per due settimane. Sarò accompagnato da due nuovi benefattori, Giovanni Parrella di Motesarchio (BN), e Angela Ciasullo di Flumeri, che documenterà i lavori anche filmando e, per la missione, è riuscita a superare la sua antica paura per gli aghi, poiché ha dovuto vaccinarsi, e persino quella di volare. Ognuno di noi ha sostenuto autonomamente il costo del biglietto (1.000 €) e dei visti (300 €).                                                                                                                                                                              Dal 16 gennaio al 5 febbraio tornerò in Benin, ancora con Angela Ciasullo e i parroci: Don Alessandro Pascale, di Prato Principato Ultra, Don Alberico Grella, di Sturno, Don Rino Morra, di Bisaccia e chiunque volesse aggiungersi”. 

                                                                                                                                                                                                                                  

I prossimi eventi per raccogliere fondi e visionare quanto realizzato in Benin: sabato 30 novembre 2024 alle 20, cena di beneficenza (20 €) presso i Saloni dell’Oratorio ANSPI San Prisco (Via Grotte) a Passo Eclano (AV); domenica 8 dicembre 2024 a Zungoli (AV), ore 13 pranzo di beneficenza (25 €), presso il Convento San Francesco. Ulteriori informazioni (e prenotazioni) su: https://www.reginadellapaceecarita.org

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