Attualità
Emigrato da Villanova a Berlino, vi racconto come si vive nell’ex Germania Est
Originario di Villanova del Battista (AV), Gian Luigi Panzetta, architetto in pensione, da 25 anni vive a Berlino, dove gestisce Locanda, ristorante ispirato alla cucina irpino-napoletana, che talvolta rivisita. Gli abbiamo chiesto com’è stata vissuta lì, l’emergenza.
Cosa l’ha portata fino in Germania?
Da 15 anni io e la mia compagna Iris Luttgert, lasciata la nostra professione di architetti, gestiamo un piccolo ristorante nel centro di Berlino. Arrivai qui all’inizio degli Anni 90, per stabilirmici definitivamente nel 1996. Fu a seguito di “Mani pulite” che, oltre a bloccare le costruzioni per le note vicende legate alle tangenti, immobilizzò il settore edilizio anche nell’ordinarietà. Si bloccarono i pagamenti, perché i funzionari amministrativi addetti a pagare gli stati di avanzamento a imprese e professionisti, non lo facevano più per timore di essere indagati dalla magistratura. Questa situazione, che congelò per parecchi anni il settore delle costruzioni, mi costrinse a chiudere i tre studi professionali che avevo con altri colleghi a Napoli, Isernia e Palmi e, come tante aziende italiane, tentai di trasferirmi in Germania con l’aiuto della mia compagna. L’attività andò bene fino al 1997-98, quando gli incentivi dello Stato tedesco a privati che investivano nella ricostruzione, facendo alloggi popolari di cui la città aveva estremo bisogno, vennero meno. La necessità di completare il programma prefissato per Berlino Capitale, coinvolse gran parte delle nostre imprese edilizie che, incapaci di lavorare secondo i capitolati tedeschi o a volte, vittime di vere e proprie trappole da parte dei committenti, in molte, fallirono. Raccontai questa esperienza in un libro, “Il mercato globale e l’emigrazione imprenditoriale edilizia degli anni 90” in “SPUREN”, AA. VV. (Berlin 1999), e dopo lo scandalo sollevato dal Mattino di Napoli del 28 marzo 1998, in cui si chiedeva l’intervento del nostro ministro degli Esteri, fui oggetto di numerose interviste.
Com’è stata percepita a Berlino la pandemia da coronavirus?
Per comprendere come si siano potute adottare misure restrittive per combattere il coronavirus, in una città la cui composizione demografica è di notevole varietà sociale, etnica e antropologica, serve una premessa. Se “Parigi è la Francia”, Berlino non è la sintesi della nazione che rappresenta. La Germania è uno Stato federale in cui i suoi 16 Länder (Regioni) hanno competenza su sanità, polizia, scuola e altro. Berlino, dall’ultima guerra, fino alla caduta del Muro (1990) è stata divisa in due: la parte Est, capitale della DDR con regime comunista e la parte Ovest, sotto la giurisdizione degli Alleati della II Guerra Mondiale. La parte Ovest era divisa nei settori: americano, francese e inglese. Queste circostanze hanno pesato enormemente sul carattere identitario della città e dei suoi abitanti. Il Presidente americano J. F. Kennedy, che la visitò nel 1960, nel suo famoso discorso in cui dichiarò: “Ich bin ein Berliner” (io sono un berlinese), colse pienamente il senso di integrazione e di accettazione che la città aveva sempre offerto. Fin dal Settecento, Federico II il Grande, rese possibile l’integrazione a Berlino, di 30.000 Ugonotti perseguitati in Francia. Il suo passato fu prima prussiano, poi luterano e infine, cosmopolita città industriale e centro di cultura mondiale, fino al tragico passaggio dalla Repubblica di Weimar, alla presa del potere del nazismo. Movimento, si badi bene, che non crebbe a Berlino (seppur ben visto dalla borghesia industriale), ma a Monaco: città provinciale, cattolica e conservatrice. A Berlino, il nazismo arrivò per necessità: Hitler non la amava. A Monaco, dopo la guerra, nacque la CSU, il partito conservatore della Democrazia Cristiana della Baviera, fratello del CDU nazionale, oggi rappresentato dalla Merkel che, data per spacciata e motivata a lasciare la politica, sta invece guadagnando molto consenso, per come sta gestendo l’emergenza. Entrambi i partiti, hanno governato sempre insieme e rappresentano la destra storica che, a differenza della destra italiana, sul piano dei diritti civili, è molto più liberal e tollerante. Ci sono poi gli estremisti del gruppo neonazista AfD, nati dopo la caduta del Muro, così come la sinistra estrema, rappresentata dai Link. Infine, i Verdi, sempre in forte ascesa nei consensi e la SPD, il partito socialdemocratico, da anni in forte calo. Berlino, all’opposto di Monaco, grazie al fatto di essere stata nel passato un grande centro industriale, con la presenza di un grosso movimento operaio, ha avuto sempre un carattere aperto e multiculturale. Oggi ha 3,8 milioni di abitanti e conserva il suo stato giuridico di città-regione, che vive di servizi e turismo, dopo il trasferimento di tutte le grandi aziende fin dagli Anni 60, a causa del suo forzato isolamento. Tra le grandi città tedesche, è una delle più povere, col più alto tasso di disoccupazione. Si consideri che dalla caduta del Muro, 2,9 milioni di persone sono arrivate e 2,7 milioni hanno lasciato la città. Dei nuovi arrivati, il 57% proviene dalla Germania e il restante 43% da Paesi stranieri. Date queste premesse, le scelte per contenere il coronavirus, dovevano tener conto del federalismo statale che richiede, come da Costituzione, l’accordo preventivo di tutti i Länder. Viste dall’Italia, potrebbero sembrare scelte fatte con molto ritardo, rispetto al nostro veloce procedere per “decreto”, come prevede la nostra Costituzione. Molti di questi Länder, come d’altra parte anche in Italia (le diverse posizioni tra Lombardia, Piemonte e Veneto e le regioni del Sud) per trovare un accordo, hanno dovuto conciliare esigenze diverse (le forti aree industriali della Baviera e del Nord-Reno/Vestfalia contrari alle restrizioni e le altre con meno presenza di fabbriche, meno ostili). In ogni modo, nella prima fase si è deciso che si poteva uscire liberamente, indossando la mascherina, anche se al massimo in compagnia di un’altra persona (indipendentemente dalla parentela). Essendo chiusi i negozi e mancando la massa di turisti, circolavano poche persone. Per molti è stata l’occasione per lunghe passeggiate, a piedi o in bicicletta, negli immensi e numerosi parchi della città. In questa fase, si poteva notare come i treni e i bus viaggiassero vuoti. I bus hanno la cabina del conducente riparata da una paretina di plastica per impedire l’accesso (tuttora) dalla porta anteriore. Nel complesso, qui non si è vissuta la sindrome della reclusione, che è emersa in Italia e ho notato che gli slanci creativi iniziali del motto italiano “Ce la faremo”, giravano nei media tedeschi con molta simpatia e solidarietà. Sul comportamento degli abitanti di Berlino, credo abbia inciso molto la composizione antropologica ed etnica. Per quanto riguarda la ristorazione, per la forte presenza delle diverse etnie nei settori commerciali e ristorativi, le restrizioni sono state recepite secondo predisposizione dei singoli soggetti, ma anche etniche e culturali: la distanza dei tavoli nei ristoranti, molto più attuata nel centro città, lascia a desiderare nelle periferie, che vedono una forte presenza di gestori di aree mediterranee e di altre provenienze.
Come si sono contenuti i contagi da Covid-19?
Chiuse alcune attività commerciali e di ristorazione (bar, pub e dancing, ma i ristoranti potevano vendere per asporto) le scuole, le università e altre istituzioni. L’attività produttiva non ha subito interruzioni. Con i dati giornalieri della diffusione della pandemia sempre sotto controllo e un sistema sanitario che dava ampie garanzie rispetto al procedere del contagio (la sanità, a differenza dell’Italia, è molto onerosa ed è a carico di ogni singolo cittadino), non si sono mai generati allarmismi incontrollabili. Anche qui però, si diceva di tutto e il giorno dopo ci si smentiva, ma, a differenza dell’Italia, non si è assistito a politici che cavalcavano la situazione a fini speculativi. Le posizioni sovraniste dell’estrema destra, restano marginali al dibattito politico. Qui c’è più patriottismo, un sentimento che determina la compattezza nazionale in situazioni di emergenza. In Italia, per quello che mi è sembrato di capire, la divisione ha dominato sia nelle forze di governo, che nell’opposizione. Anche qui si sono avute rimostranze (i commercianti e i gruppi complottisti), ma non si è giunti a fare le manifestazioni che l’opposizione ha indetto in Italia, contravvenendo le regole del distanziamento sociale. Infine, e non è da poco, i media sono molto meno pieni di esperti e contro-esperti che assillano la quotidianità. Mi pare che nella famiglia tedesca, tranne alcuni casi patologici, come il nostro vicino pensionato, barricatosi in casa con la moglie, la paura non è entrata nell’inconscio collettivo. I problemi nel periodo più tragico della prima fase, sono stati generati dalle convivenze forzate a cui non si era abituati, con forme di violenze e di maltrattamenti in famiglia, soprattutto tra coloro che vivono nei quartieri densamente popolati e più impossibilitati ad uscire. Insomma, qui non avevamo le immagini dei camion militari che a Bergamo trasportavano i morti. La morte non la si vedeva.
Le misure adottate per le difficoltà causate dal lockdown, all’attività di ristorazione?
Gli interventi economici sono stati rapidi ed efficaci, a tamponare un periodo che copriva tre mesi (aprile, maggio e giugno): 5.000 euro a ogni partita IVA + 9.000 al massimo, in relazione ai costi di gestione dell’attività, erogati nell’arco di tre giorni dalla richiesta. Pare siano state fatte molte richieste non in regola, ma qui controllano e, chi ha dichiarato il falso, pagherà. In questa fase restano chiusi i teatri, i cinema, club, centri per incontri sociali. Riprende il campionato di calcio, ma senza spettatori, e i ristoranti non avranno più le limitazioni orarie, ma devono far rispettare le distanze dei tavoli, di almeno un metro e mezzo tra commensali. I tavoli vanno disinfettati al cambio clienti e sono vietate tovaglie e oggetti decorativi. Il personale deve indossare le mascherine e i menu vanno scritti alla lavagna o distribuiti in forma elettronica. L’ufficio del Comune ha inviato i suoi vigili per favorire l’occupazione di ulteriore suolo pubblico antistante i ristoranti, al fine di predisporre tavoli aggiuntivi. Dal primo luglio, entrerà in vigore per un anno la riduzione dell’IVA per le bevande dal 19 al 16% e dal 7 al 5% per il cibo: quest’ultimo vale anche per i ristoratori, che sulle vendite applicavano l’IVA al 19%.
Attualità
Liste di attesa: i soliti proclami
Il governo Meloni agli inizi dell’estate scorsa sbandierò (vedi il mio articolo pubblicato da “Il Confronto, Rivista on line) ai quattro venti il programma con il quale avrebbe ridotto, in tempi rapidi, le liste di attesa. L’allarme è lanciato dalpresidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, il quale mette a fuoco il ritardo nell’approvazione dei decreti attuativi previsti dal DL 73/2024 sulle liste d’attesa, convertito dalla Legge 107/2024″. Sin ad ora, è stato adottato solo 1 dei 6 decreti attuativi. La riforma prevede un’integrazione del Cup delle strutture pubbliche con quelle accreditare dal SSR per migliorare le prenotazioni e l’offerta agli utenti, ed una nuova metodologia per individuare il fabbisogno reale del personale,passaggio fondamentale per le assunzioni, decreti ancora di là da venire. A fronte di tanti proclami estivi, non si comprende come potrebbero essere azzerate le liste di attesa se mancano circa 4 mila medici di Medicina di Emergenza-Urgenza (MEU). Circa 1033 medici hanno lasciato i PS, 467 nuovi ingressi coprono appena il 45% di medici dedicati a questo reparto. Per coprire i turni si è provveduto all’utilizzo di medici di altri reparti (29%), contratti atipici (54%), specializzandi di emergenza urgenza (32%), cooperative (28%), i medici non MEU comandati dalla direzione (20%). La tragica realtà è sotto i nostri occhi, il Tribunale dei diritti del malato ha denunciato che almeno 300 mila persone hanno atteso 3 giorni prima di avere un posto letto. L’amarezza delle parole del presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, sono rilanciate dall’Agenzia Ansa: “le riforme annunciate restano un esercizio retorico se non tradotte in azioni concrete, mentre il raggiungimento di risultati parziali è solo una magra consolazione politica, priva di reali benefici per la società”, (Redazione Ansa, 29 gennaio 2025).
Attualità
Marco La Carità nominato Componente Esecutivo Regionale di ANCI Campania in quota Forza Italia
Napoli, 30 gennaio 2025 – Marco La Carità, Consigliere Comunale di Ariano Irpino, è stato nominato Componente Esecutivo Regionale di ANCI Campania, incarico di rilievo all’interno dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani.
La nomina, firmata dal Presidente Carlo Marino, si inserisce in un’ottica di rafforzamento della governance dell’ANCI Campania, con l’obiettivo di garantire un maggiore coinvolgimento nella fase istruttoria e operativa dell’Associazione.
Marco La Carità assumerà questo ruolo in quota Forza Italia, rappresentando il partito all’interno dell’organo esecutivo regionale. La sua esperienza amministrativa e il suo impegno politico saranno fondamentali per affrontare le sfide dei Comuni campani e promuovere soluzioni efficaci per il territorio.
“Sono onorato di questa nomina e pronto a mettere a disposizione le mie competenze per supportare i Comuni della nostra Regione”, ha dichiarato La Carità.
Forza Italia conferma così la sua presenza attiva in ANCI Campania, con l’obiettivo di garantire una rappresentanza forte e incisiva per gli amministratori locali.
Attualità
GAP Nord – Sud e Regionalismo Differenziato
A Cercola, in provincia di Napoli, prosegue il dibattito di Città Futura, ubicata in C.so Domenico Ricciardi 261, sul rilancio della Questione Meridionale e delle sperequazioni tra le due aree del paese. All’incontro di domenica 2 febbraio 2025 alle ore 11,00 parteciperà il Senatore Peppe De Cristofaro di Sinistra Italiana, il Consigliere Comunale di Città Futura Marco Picardi, il Presidente del Partito del Sud Natale Cuccurese e il giornalista e saggista Salvatore Lucchese, Direttore Responsabile della rivista laica e progressista “Meridione/Meridiani”
il Sud ha avuto, negli ultimi due anni, una crescita del PIL superiore al Nord ma, in realtà, i meridionali vivono con il reddito che è la metà e la disoccupazione doppia rispetto al Nord. Hanno servizi pubblici inadeguati, molto costosi, poco frequenti, in particolar modo in provincia, scarsamente calibrati ai bisogni che li costringe a rivolgersi al privato. Inoltre la crescita dell’occupazione al Sud, così come ha ribadito lo Svimez, è basata sul lavoro “cosiddetto povero” con un salario da part time ma, che, in realtà, impegna il lavoratore full time senza la possibilità di un progetto di vita futura e privo di sufficienti garanzie per la sua incolumità psico-fisica.
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