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Giovanni Capobianco Presidente provinciale ANPI Avellino: Senza le donne la Resistenza non ci sarebbe stata!

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Quest’anno la festa della Liberazione si celebra in maniera anomala…

Il coronavirus non ci consente assembramenti, ma l’ANPI ha chiesto che alle 15, da ogni finestra o balcone venisse diffusa Bella ciao e così è stato: l’Italia intera ha risposto bene. Non possiamo dimenticarci della data fondante della nostra Repubblica e della nostra Costituzione. Attraversiamo un periodo pericoloso, sia dal punto di vista sanitario, che per le sovrapposizioni fra i vari livelli dello Stato, che stanno minando i valori costituzionali e mettendo a rischio la democrazia e l’unità del Paese. Si assiste a un contrapporsi fra regioni, fra comuni e regioni, fra regioni e Stato. Non possiamo più rimanere indifferenti alle voglie di secessione delle regioni che si ritengono piccoli stati sovrani, come 20 piccole repubblichette delle banane o meglio, dei fichi d’india, come ebbe a dire anni fa, l’avvocato Giovanni Agnelli. Vincenzo De Luca, Presidente della Campania, vuole addirittura chiudere i confini, come se la regione fosse di sua proprietà, una contea feudale. Non può farlo, come gli ha magistralmente spiegato il professor Villone (la Repubblica, 20 aprile, pag. 13 edizione campana).

Per non parlare del post coronavirus, se ci sarà a breve, un post…

La fase economica che ci aspetta, una volta passata la buriana del coronavirus, secondo gli economisti, sarà dolorosa, unica nel suo genere e terribile per cittadini, imprese, lavoratori pubblici e privati, artigiani, commercianti, pensionati, lavoratori in nero, precari e stagionali. Di fronte a questa assai probabile tragedia economica, serve l’unità del Paese. Le forze politiche in primo luogo, il sindacato, il volontariato, le competenze di ogni settore, le imprese piccole e grandi, la scuola e l’università, il mondo delle professioni ,i cittadini tutti, dovranno dare il loro contributo. Si dovrà iniziare applicando la Costituzione nei suoi valori di solidarietà, non disattendendola come, purtroppo, è stato fatto molto spesso da quando è in vigore, danneggiando molti e favorendo pochi.

Com’è stata la Liberazione in Provincia di Avellino?

In Provincia ci sono stati almeno 12 massacri perpetrati dai nazisti, 3 dei quali ad Ariano, anche se si cerca di negarlo. Tra i partigiani irpini, Armando Li Pizzi, anch’egli nato ad Ariano nel 1924 e massacrato in provincia di Cuneo dai nazisti, nel marzo del 1944, assieme ad un suo coetaneo di Bisaccia e altri 8 partigiani. Un altro partigiano originario di Avellino, Guastino Modestino, aiutò i partigiani a Calcinate (Brescia), ma i fascisti lo massacrarono e lo evirarono, finché non morì. Vittorio Grappone, originario di Paternopoli, era un carrista che morì in Istria. Era passato con la resistenza jugoslava: il suo carro fu colpito dai tedeschi e si ritrovò le braccia da una parte e la testa dall’altra. Meglio è andata al partigiano Rodolfo De Rosa, vivente, che nel 1944, dopo essere stato arrestato, grazie al direttore del carcere di Avellino di allora, Santangelo, scappò assieme ad altri, prima che li deportassero nei campi di concentramento. Rodolfo oggi ha 92 anni e va a raccontare la sua storia nelle scuole. A Castel Baronia fu internato Esusebio Giambone, dirigente comunista torinese, che aveva contribuito alla creazione della rete organizzativa militare della Resistenza di Torino. Affrontò con coraggio interrogatori e processo, rivendicando il diritto di battersi per la libertà, prima di essere fucilato, insieme ad altri 7 compagni di lotta, presso le Carceri nuove di Torino. Dal carcere scrisse alla moglie Luisa e alla figlia Gisella, due significative lettere, che in seguito (1952) sarebbero state pubblicate nel volume: Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana. Sua figlia, dopo l’esecuzione di Eusebio, si arruolò come staffetta partigiana, e oggi è cittadina onoraria di Castel Baronia. Gli unici ricordi che ha del padre, sono la medaglia d’oro al valore e il suo cappotto, bucato dalle pallottole.

Qual è oggi il ruolo dell’ANPI?

L’Associazione Nazionale Partigiani non ha il ruolo di una semplice testimonianza del passato. Serve a preservare la memoria soprattutto per i più giovani, che dovrebbero imparare la storia per capire da dove veniamo e che futuro costruire. Il ruolo dell’ANPI è difendere e far conoscere la Costituzione, perché è quanto di meglio i partigiani ci hanno lasciato, un modo di onorare sul serio la loro memoria. Giovani, vecchi, anziani, donne e uomini, devono lottare per lei: nella Costituzione c’è la libertà che ci è stata regalata col sacrificio dei partigiani, ma non è assodata per sempre, come già diceva Pertini: bisogna lottare ogni giorno per preservarla. L’ANPI deve inoltre intervenire anche sulle grandi tragedie del Paese come in questo momento, anche facendo proposte per migliorare la società.

Cosa rispondere a coloro che tentano il revisionismo storico?

Nelle guerre c’è chi sta dalla parte giusta e chi da quella sbagliata. Questi ultimi cercano di rinnegare la Resistenza, la lotta partigiana, i sacrifici per la libertà, di coloro, che oppressi, erano dalla parte giusta. Con tutto il rispetto per i morti, c’è chi è morto stando dalla parte giusta, ribellandosi ai soprusi e chi da quella sbagliata, perché li ha commessi. È un tentativo per annacquare il ricordo della Resistenza per cercare di sminuire i valori trascritti nella Costituzione: pericoloso! Ecco perché insisto nel dire ai ragazzi di leggere la Costituzione, il bene più prezioso lasciatoci dalla Liberazione, che fu anche lotta di classe, in particolare delle donne, che volevano emanciparsi dalla subordinazione al maschio in cui il fascismo le aveva relegate. Per ogni partigiano c’erano 4-5 fiancheggiatori, o meglio le fiancheggiatrici,:erano loro che provvedevano a tutto, dalla logistica, al portare le armi e da mangiare, gestivano le retrovie. Erano circa 300 mila: la Resistenza senza le donne non sarebbe stata possibile!

Come nasce Bella Ciao?

Bella ciao veniva cantata in particolare nel Mezzogiorno, al nord si cantava Fischia il Vento: man mano che gli Alleati risalivano la penisola, si diffuse in tutta l’Italia e divenne assieme a quello e ad altre, come Dalle belle città date al nemico, a La Brigata Garibaldi, anche al Nord l’inno alla libertà. Una libertà conquistata con sacrifici, sangue e morte. È questo il suo significato nella nostra storia, ed è ormai l’inno nazionale del mondo intero, alla libertà e alla democrazia.

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Pallavolo Serie D – Esordio fuori casa per il GSA Pallavolo Ariano

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Dopo aver conquistato nella scorsa stagione la promozione in serie D, la Coppa e la SuperCoppa IrpiniaSannio,  il GSA PALLAVOLO ARIANO sabato 2 novembre scende in campo a Cava dei Tirreni per la prima gara del campionato di serie D maschile.

La partita inizierà alle ore 19.30 per dare avvio ad una nuova fase agonistica che il GSA intende giocare  per l’alta classifica.

Confermato lo staff tecnico con Giulio Filomena e Nico Medici a guidare il gruppo nel quale saranno ancora  G. Santosuosso, L. Guardabascio e R. Caso  punti di riferimento per giovani promettenti come M. Molinario, M. Ninfadoro , C. Capozzi e P.Borriello. La qualità non manca nel resto della squadra con  G. Ricciardi, A. La Luna, L. Schiavo, H. Chiaradonna, A. Iandoli, T. Barrasso , M. Toriello  a disposizione dei tecnici per dimostrare di  valere la categoria.

Per questa importante avventura regionale, la società arianese è pronta  anche a lanciare i giovanissimi dell’Under 17 che già hanno messo in mostra il loro positivo spessore con una vittoria per 3-0 nel debutto casalingo con i pari età dell’Academy nel torneo territoriale di categoria.

Per l’esordio fuori casa gli arianesi dovranno aspettarsi una gara difficile e confrontarsi con un avversario molto solido; il fattore campo può aiutare i cavesi, ma il GSA deve subito metabolizzare le difficoltà della serie regionale e scendere sul parquet con la consapevolezza di saper imporre il proprio gioco  per conquistare la vittoria.

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Giornata delle Forze Armate – Il 4 Novembre ad Ariano la cerimonia per il Giorno dell’Unità Nazionale

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L’Amministrazione Comunale di Ariano Irpino, in una sobria e solenne cerimonia, vuole  commemorare i Caduti di tutte le Guerre, rendere omaggio alle Forze Armate, celebrando la Festa dell’Unità Nazionale, in ricordo della fine della prima Guerra Mondiale.

Appuntamento lunedì 4 novembre 2024 alle ore 10,00 al Piano della Croce presso il Monumento ai Caduti dove, alla presenza delle Autorità Civili, Militari e  Religiose, verrà   deposta la   Corona di alloro, sulle note dell’Inno Nazionale.

Una  Corona di Alloro verrà deposta anche davanti al busto di Giulio Lusi in Villa Comunale e nell’atrio di Palazzo di Città.

Il messaggio istituzionale  è rivolto alle nostre giovani generazioni, per non dimenticare  i nostri Caduti in Guerra, morti per gli ideali risorgimentali di indipendenza, di libertà, di democrazia che hanno determinato l’Unità d’Italia ed esprimere riconoscenza per coloro che ancora oggi rischiano la vita al Servizio della Comunità.

La cittadinanza  è invitata a partecipare.

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Roberto Zaffiro: vi racconto la mia Africa e vi invito a diventare benefattori

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Imprenditore nel settore edile (azienda di dieci dipendenti), insieme ad altri due fratelli, sposato e con due figli, Roberto Zaffiro, con il pieno sostegno della famiglia, si dedica anima e corpo alla missione che lo appassiona e gratifica di più: dalla costruzione di pozzi e scuole, ai presidi ospedalieri, in Africa. Il 5 novembre partirà per la Nigeria e in gennaio per il Benin

“Un tempo ero laico, poi a 37 anni, 20 anni fa, c’è stata la mia conversione, a seguito del viaggio a Medugorje, – ci racconta. Il senso di solidarietà l’ho però sempre avuto nel DNA, tanto che ogni volta che ho girato il mondo, ho sempre elargito del denaro, ai bisognosi che mi è capitato di incontrare”.  

                                                                                                                                            

Quando hai capito che la tua missione era dedicarti in maniera più completa agli altri?                                                                              

 La svolta a seguito del viaggio a Medugorje. Fino ad allora ero stato una sorta di superficiale credente praticante, che girava il mondo, compresa l’Africa, anche in moto, e non dava grande importanza ai sacramenti e alla preghiera. In quel luogo, come se avessi improvvisamente intuito le mie miserie e fragilità, ho pianto molto e ho capito che dovevo cambiare la mia vita e relazionarmi in maniera diversa con Dio. È cominciata così la mia conversione, incrementando anche la frequentazione della Chiesa, finché a Montevergine (AV) non ho incontrato padre Jean Baptist, sacerdote originario del Benin (Diocesi Kandi-Benin), specializzatosi a Roma. Siamo diventati amici e, dopo che mi ha mostrato le carenze d’acqua nel suo villaggio, gli ho donato un pozzo. Quando è tornato in Africa, mi ha fatto promettere che sarei andato a trovarlo. Nel 2012 l’ho raggiunto e ho cominciato a guardare l’Africa con occhi nuovi, mi sono reso conto della vita di sofferenza della popolazione: bambini e adulti che bevevano dalle pozzanghere esponendosi a malattie, quando non la morte, bambini costretti a percorrere chilometri con le taniche in testa per approvvigionarsi dell’acqua. Un pozzo è una fonte di acqua viva utile a diverse comunità, talvolta serve fino a diecimila persone o più (dipende dalla grandezza dei villaggi) e nel tempo, cambia radicalmente la loro vita: cominciano ad allevare animali, a praticare l’agricoltura. L’acqua è di interesse primario: il 60-70 per cento dei nostri fondi li impieghiamo nella costruzione dei pozzi, a cui facciamo seguire attività ambulatoriali, considerando che, per accedere all’assistenza sanitaria, bisognerebbe percorrere centinaia di chilometri e talvolta non c’è il tempo, né la possibilità, di farlo. Molte malattie derivano dalla mancanza di igiene, dal fatto che non ci si può lavare: da una banale diarrea si passa alla febbre, inizia la sofferenza, che diventa acuta, poi grave e infine, può portare alla morte. Un piccolo presidio sanitario, con almeno uno-due infermieri e un medico, serve a trasmettere i fondamenti dell’igiene necessari a prevenire diverse malattie, anche se, per quelle più gravi, bisogna recarsi presso gli ospedali. Agli ambulatori cerchiamo di affiancare la promozione dell’istruzione di base che consenta ai più poveri, che non possono permettersi la scuola, almeno di difendere i diritti propri e della famiglia: l’istruzione emancipa e salva il mondo.                                                                                                                                                                             Come individuate dove costruire un pozzo?    

                                                                                                                                                   

Primo step individuare il punto, poi una sorta di rabdomante, col talento sensibile nelle mani, scopre dove potrebbe esserci più acqua, quindi arriva la trivella, che in genere scava per 4-5 ore, con tutta la popolazione intorno, che festeggia il grande evento, che cambierà la loro la vita. Il primo getto d’acqua, è un vero spettacolo: vediamo la gioia dei bambini e della gente. Documentiamo tutto in diretta e lo postiamo sui social, poi, a fine missione, montiamo un filmato che mostreremo ad amici, conoscenti e benefattori, nonché a chi volesse diventarlo. Vogliamo dimostrare che facciamo opere concrete e cerchiamo di renderci utili, per alleviare almeno in parte, la sofferenza di quelle popolazioni. Realizzare un pozzo costa circa 7-8 mila euro, ma dipende dal luogo, dalla quantità e dalla profondità del terreno. Un ambulatorio sanitario, così come una scuola, costa intorno ai 20-30 mila euro, a seconda delle dimensioni.                                                                                             

Finora abbiamo realizzato 24 pozzi in Benin, uno in Malawi e 5 in Nigeria, che servono una popolazione complessiva di circa 350 mila abitanti.  

                                                                                                                                                                

La strada la preparano i religiosi, che, oltre alle lingue locali, compresi i vari dialetti, parlano inglese, francese ed italiano. Con le loro diocesi, di dimensioni notevoli, sono radicati sul territorio, interloquiscono coi capi villaggio, i quali, al di là dei diversi credo religiosi, convivono senza combattersi. Ogni iniziativa la condividiamo con i capi delle comunità: acqua, sanità, scuola, sono per tutti, cristiani, musulmani, animalisti. Questo ci consente anche di approcciarci a quei territori senza temere per la nostra incolumità.

                                                                                                                                                                                                                                                                      

Con quali modalità raccogliete le risorse necessarie?     

                                                                                                                                       

  I fondi vengono raccolti sia con la promozione di giornate di beneficenza, sia nelle chiese, attraverso l’associazione Regina della Pace e Carità (con sede in Flumeri, AV), finalizzata a promuovere e gestire interventi di cooperazione allo sviluppo e progresso umano, economico e sociale, attraverso la costruzione di pozzi, scuole, ambulatori, orfanotrofi e chiese, nei Paesi in via di sviluppo. Nata allo specifico scopo della missione in Africa, la onlus è composta da 12 persone, 3 delle quali, sacerdoti africani. I sacerdoti, vivendo in Africa, conoscono il territorio e poiché ogni anno vengono in Italia, fermandosi per circa 40 giorni presso le parrocchie, ci aiutano a progettare le sfide che realizzeremo insieme. Sono loro i veri esecutori delle opere: i pozzi si scavano rapidamente in nostra presenza, ma per le altre opere che invece richiedono mesi, noi ogni anno andiamo a verificare ciò che è stato realizzato e lo inauguriamo insieme. Quest’anno abbiamo realizzato 3 pozzi in Benin e altri 3 ne realizzeremo entro fine anno in Nigeria: partiremo il 5 novembre, per tornare il 19. Per l’inizio del 2025 realizzeremo una chiesa e ancora 4 pozzi in Benin, nonché giornate sanitarie e visite agli orfanotrofi locali. Giacché abbiamo costruito tre ambulatori in Benin, tra cui un ospedale della maternità, promuoveremo la formazione sanitaria, invitando le popolazioni limitrofe, alle quali si insegnerà la prevenzione di base e doneremo dei medicinali, che, su indicazione dei medici locali, acquistiamo direttamente in loco o nelle città più grandi, che distano anche fino a 250 km. Spesso i bambini hanno la pancia gonfia dovuta ai vermi, così acquistiamo il farmaco per la sverminazione, che costa un euro e mezzo e salva loro la vita o la tachipirina, utile in caso di febbre alta. Molti bambini vengono abbandonati nella savana, se la famiglia a causa dell’estrema povertà non può mantenerli, oppure se malati o albini (pensano siano indemoniati), così suore, preti e laici, li raccolgono e li portano negli istituti religiosi dotati di orfanotrofi (30-40 posti), che però soffrono difficoltà economiche e alimentari. Quando li visitiamo, doniamo una metà delle offerte in beni materiali, riso, olio e latte in polvere, e il resto, tra i mille e i tremila euro (a seconda di ciò di ciò che siamo riusciti a mettere da parte), lo diamo alla struttura come sostegno economico. Cerchiamo di metterli in condizioni di andare avanti per qualche mese, di dare ai loro ospiti una speranza per il futuro. Nel 2026 in Malawi vorremmo realizzare un orfanotrofio per bambini abbandonati e disabili e 2-3 pozzi, per cui stiamo raccogliendo fondi e invitiamo chiunque potesse e volesse, a contribuire.                                                                                                                                                              

 Che altro fare per aiutare concretamente gli Africani?                            

                                                                                                        

  I governi locali dovrebbero preoccuparsi, per cominciare, di dare l’acqua, consentire l’istruzione e la sanità, che fornirebbe a quelle popolazioni i mezzi per progredire ed essere autonome a casa loro. In tal modo, non avrebbero bisogno di rischiare la vita sui barconi, per illusioni irrealizzabili. Purtroppo i loro governanti sono spesso dittatori che non hanno alcun interesse a metterli in condizioni di autosufficienza, ma preferiscono tenerli nell’ignoranza, per poterli gestire.                                                                                                                  

Dal canto nostro, immersi nel benessere, noi consumiamo cose inutili, sprechiamo e buttiamo. Vorrei esortare a pensare a chi ora sta soffrendo, destinando ciò che per noi è superfluo a chi invece ha necessità basilari. Per dirla con madre Teresa di Calcutta: la condivisione sconfigge la povertà.                                                      

 Siete in procinto di partire per la prossima missione…

                                                                                                                              

 Il 5 novembre partiremo per la Nigeria per due settimane. Sarò accompagnato da due nuovi benefattori, Giovanni Parrella di Motesarchio (BN), e Angela Ciasullo di Flumeri, che documenterà i lavori anche filmando e, per la missione, è riuscita a superare la sua antica paura per gli aghi, poiché ha dovuto vaccinarsi, e persino quella di volare. Ognuno di noi ha sostenuto autonomamente il costo del biglietto (1.000 €) e dei visti (300 €).                                                                                                                                                                              Dal 16 gennaio al 5 febbraio tornerò in Benin, ancora con Angela Ciasullo e i parroci: Don Alessandro Pascale, di Prato Principato Ultra, Don Alberico Grella, di Sturno, Don Rino Morra, di Bisaccia e chiunque volesse aggiungersi”. 

                                                                                                                                                                                                                                  

I prossimi eventi per raccogliere fondi e visionare quanto realizzato in Benin: sabato 30 novembre 2024 alle 20, cena di beneficenza (20 €) presso i Saloni dell’Oratorio ANSPI San Prisco (Via Grotte) a Passo Eclano (AV); domenica 8 dicembre 2024 a Zungoli (AV), ore 13 pranzo di beneficenza (25 €), presso il Convento San Francesco. Ulteriori informazioni (e prenotazioni) su: https://www.reginadellapaceecarita.org

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