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In ricordo di Nicola Savino-Sopravvissuti: precari su una polveriera che potrebbe esplodere, a meno che…

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“L’avidità umana, che disegna le sue architetture per rendere il mondo un villaggio globale […], deturpando l’ambiente, ha offeso la natura, che lesa, ha scatenato la sua ira funesta […], evidenziando, in modo inequivocabile, che l’uomo è parte assai marginale delle sue funzioni. Le città sono sprofondate nella disperazione di un agghiacciante silenzio […]. Il male occulto ci ha resi dunque inerti e inamovibili, reclusi tra le mura domestiche, a scontare i giorni del lungo tempo sospeso, in una condizione di mortificazione della dignità umana. […] Sarà ardua impresa per ognuno, nel ridisegnare la mappa del proprio cammino terreno, il riacquisire coscienza di ciò che si è, dopo essere stati pressati da una travagliata spoliazione dei tradizionali meccanismi di adesione comunitaria e sottoposti ad un quotidiano e stressante esercizio di ricostruzione dell’io e di verifica della propria conformità. Eppure vi sono quelli che nella dilagante paura dell’essere tutti misteriosamente coinvolti nella fine del genere umano, per esorcizzare il maligno, disattivano, riversi nella lussuria, i processi inibitori. In quell’ebbrezza di far prevalere gli istinti sulla ragione, molti ripudiano la morte, la sentono estranea come un’entità che appartiene ad altri; vivono nel credo dell’eterna giovinezza, si pensano invincibili, padroni degli eventi, sfidano il tempo e così, nel delirio, realizzano la dissolvenza propria e dei propri simili, elevano forche per il capestro dell’umanità. E il grande fratello dal video è sempre là, a ricordarci che in fondo il mondo è solo uno spazio di sistemi precari. Dagli schermi proietta il riflesso di noi nel cataclisma, nella sventura e non ci pare vero di ritrovarci superstiti, benché omologati in una società di uomini liberi senza scelta, arditi senza osare, critici senza pensare. Siamo come ci vogliono, ostaggi dei creatori del niente, dei moltiplicatori di profitti sulle sciagure umane, anche e innanzitutto nelle circostanze estreme della morte. L’epidemia è anche questo: la corruzione dell’anima ancorché del corpo. Sugli effetti della pandemia, tratto da: Sopravvissuti, l’inedito pubblicato postumo, di Nicola Savino, sociologo, scrittore, pensatore, prematuramente scomparso l’11 novembre 2021 a soli 68 anni. Dal brano si evincono temi cari al suo pensiero, che è altresì rivolto con preoccupazione al fallimento del sistema socio – economico – capitalistico, fino alle guerre tra religioni, alla inaudita spettacolarizzazione della morte dell’Isis, all’avanzare di ogni tipo di fondamentalismo, partendo dallo scenario che lo ha “sdoganato”: il feroce attentato al World Trade Center di New York dell’11 settembre 2001. L’attento studioso, ha analizzato anche le dirette conseguenze del lockdown imposto dalla pandemia da Covid-19: la crisi economica e la perdita del lavoro, che a loro volta hanno ampliato malessere esistenziale e insofferenza, con una costante “proletarizzazione” del ceto medio, finendo per far collimare “gli interessi della piccola e fors’anche quelli della media borghesia, fatti salvi ruoli e competenze, con quelli dei ceti popolari. […] I furori di questa moltitudine di anime esacerbate […], attestano che si sono ormai infranti i pilastri a lungo consolidati della tollerabilità sociale. Si sono amplificate le disparità, accresciute a dismisura le sacche di povertà, dei disoccupati, dei sottoccupati, dei sub-alterni, degli esclusi, dei deboli e degli ultimi”. Una platea di “miserabili”, su cui incalza il rischio della fame, che “si sa, conduce all’oblio dei sensi e degli affetti, annulla i sentimenti e le passioni, la fede e la ragione; l’uomo si ritrova […], nell’appiglio istintuale di conservare se stesso”. La narrazione storica, sottolinea, segnala i risvolti nefasti di una massa che, spinta dal bisogno, diviene capace di determinare, “nel sangue, gli accadimenti di svolta, sui quali s’avviluppano i mutamenti delle civiltà. In definitiva, la sensazione è quella di vivere come adagiati su una polveriera, dove prima o poi qualcuno accenderà la miccia”. A ciò si aggiungano le instabilità geo-politiche, alimentate da nazionalismi, integralismi, fondamentalismi, e da eventi catastrofici naturali, che costringono vaste masse di “brutalizzati a sradicarsi dai luoghi di origine per catapultarsi in scenari umani e ambientali estranei, dove non solo non vengono accettati, ma spesso sono odiati e colpevolizzati”. Nel brano, Sugli esodi, il sociologo ci ricorda come, per scongiurare i sentimenti xenofobi, basterebbe “rivitalizzare la memoria storica, far riemergere il dramma dei migranti d’ogni tempo e luogo, comparati ai nostri, per comprendere che si sta facendo lo stesso percorso, ma a parti rovesciate”. In Sopravvissuti viene affrontato anche il tema del possesso, evidenziando che un “ristretto numero di oligarchie fomentano una cultura tesa a istituire una società abitata da individui nichilisti e amorfi […]. Siamo pertanto il prodotto di una civiltà opulenta, che, in nome della tecnica e del progresso, sconvolge e travolge cielo, terra e mare, che scarta più di quanto consuma e consuma più di quanto produce. In quest’enfasi, l’uso spregiudicato delle risorse della natura, le manipolazioni genetiche, rappresentano la norma di una vita segnata dal disprezzo, dalla prevaricazione, dalla sopraffazione”. Da questa spirale si può uscire a condizione che uomini di buona volontà si rimbocchino le maniche per riparare agli errori, memori che “la Natura sa essere crudele con chi la sfida” (sull’argomento si veda anche il suo lavoro, La vendetta della Natura e la grande moria). Se non ora, quando? Si chiede Nicola, che ritiene sia “giunto il tempo di rivedere il sistema capitalistico, di reimpostare la diseguale e disumana distribuzione delle risorse e delle ricchezze individuali e collettive e rifondare, nella sua integrità, la dimensione umana, saldando tra loro le straordinarie energie dell’uomo con le immense potenzialità offerte dall’uso non speculativo del progresso tecnologico. […]. È necessario un nuovo umanesimo: c’è bisogno di effettuare, con coraggio e determinazione, una totale rimozione dell’ormai archeologia industriale del XX secolo […]”, che ha spianato “il campo al consumismo, al globalismo, ad un più redditizio profitto parassitario, che hanno provocato, nel tempo, distruzioni ambientali […] senza migliorare la qualità della vita. È necessario che questo cambio di passo si realizzi in un arco ragionato di tempo. Il futuro dell’Umanità, o sarà strutturato su valori fondanti o non sarà affatto.”! Il “tormentato” intellettuale, partendo da posizioni anarchiche ispirate a Proudhon (1809-1865) anarchico francese, sociologo, economista, socialista e politico; Bakunin (1814 -1876), anarchico, filosofo e rivoluzionario russo, fino ad Anna Kuliscioff (1857 -1925), rivoluzionaria e giornalista russa, considerava la proprietà privata un inutile orpello, quasi un reato. Nella maturità, la sua visione filosofica, lo condurrà ad ispirarsi alla figura di San Francesco (si veda anche il suo libro, Nacque al mondo un sole), il frate della solidarietà e dell’accoglienza, che abbracciò la povertà per privilegiare l’armonia dello spirito. Da convinto antifascista quale era, Nicola discuteva animatamente con gli amici di una vita, sulla disgregazione degli ideali politici della socialdemocrazia, così come lo preoccupava il progressivo sgretolamento del tessuto sociale. Riteneva necessario un confronto sul tessuto urbano, storico, sociale del territorio, per uno sviluppo sostenibile e compatibile di Ariano, la sua amata città, dove non è mai esistito un vero programma di sviluppo, evidenziando come, dopo il terremoto del 1980 (seguito a quello del 1962), che avrebbe dovuto dare impulso a una rinascita, si sia assistito a ulteriori violazioni del paesaggio, scempi urbanistici e una metamorfosi antropologica delle comunità, passando definitivamente dal dramma, al disincanto, parafrasando il titolo di un altro suo lavoro (23 novembre 1980 Il dramma, l’incanto, il disincanto). La seconda parte di Sopravvissuti è una significativa raccolta di 25 poesie (dal 1975 al 2000), che abbracciano i temi del tempo, dell’utopia, dei padri, della natura, dei ricordi, della morte, del coraggio. Proprio la sua Ariano ha voluto tributargli Legami indissolubili, una tre giorni nell’ambito della Book zone (che fu da lui ideata) dell’Ariano Folkfestival, patrocinata dal Comune, ideata e curata da Luigi Lambiase, con L’associazione Il vizio di leggere e la partecipazione di amici, colleghi, familiari e conoscenti, che hanno ricordato la sua figura e presentato suoi libri. All’interno del Museo civico, che ha ospitato gli eventi, è stata allestita una significativa mostra fotografica, a cura di Marco Memoli. Il Premio Nicola Savino è stato conferito a Michele Napolitano per il libro di poesie, Prontuario degli sconfitti. Commemorare un uomo di straordinaria umanità come è stato Nicola Savino, è importante affinché se ne continui il lavoro politico, sociale e culturale, precocemente interrotto: necessario farlo, anche in suo nome.

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Giornata delle Forze Armate – Il 4 Novembre ad Ariano la cerimonia per il Giorno dell’Unità Nazionale

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L’Amministrazione Comunale di Ariano Irpino, in una sobria e solenne cerimonia, vuole  commemorare i Caduti di tutte le Guerre, rendere omaggio alle Forze Armate, celebrando la Festa dell’Unità Nazionale, in ricordo della fine della prima Guerra Mondiale.

Appuntamento lunedì 4 novembre 2024 alle ore 10,00 al Piano della Croce presso il Monumento ai Caduti dove, alla presenza delle Autorità Civili, Militari e  Religiose, verrà   deposta la   Corona di alloro, sulle note dell’Inno Nazionale.

Una  Corona di Alloro verrà deposta anche davanti al busto di Giulio Lusi in Villa Comunale e nell’atrio di Palazzo di Città.

Il messaggio istituzionale  è rivolto alle nostre giovani generazioni, per non dimenticare  i nostri Caduti in Guerra, morti per gli ideali risorgimentali di indipendenza, di libertà, di democrazia che hanno determinato l’Unità d’Italia ed esprimere riconoscenza per coloro che ancora oggi rischiano la vita al Servizio della Comunità.

La cittadinanza  è invitata a partecipare.

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Roberto Zaffiro: vi racconto la mia Africa e vi invito a diventare benefattori

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Imprenditore nel settore edile (azienda di dieci dipendenti), insieme ad altri due fratelli, sposato e con due figli, Roberto Zaffiro, con il pieno sostegno della famiglia, si dedica anima e corpo alla missione che lo appassiona e gratifica di più: dalla costruzione di pozzi e scuole, ai presidi ospedalieri, in Africa. Il 5 novembre partirà per la Nigeria e in gennaio per il Benin

“Un tempo ero laico, poi a 37 anni, 20 anni fa, c’è stata la mia conversione, a seguito del viaggio a Medugorje, – ci racconta. Il senso di solidarietà l’ho però sempre avuto nel DNA, tanto che ogni volta che ho girato il mondo, ho sempre elargito del denaro, ai bisognosi che mi è capitato di incontrare”.  

                                                                                                                                            

Quando hai capito che la tua missione era dedicarti in maniera più completa agli altri?                                                                              

 La svolta a seguito del viaggio a Medugorje. Fino ad allora ero stato una sorta di superficiale credente praticante, che girava il mondo, compresa l’Africa, anche in moto, e non dava grande importanza ai sacramenti e alla preghiera. In quel luogo, come se avessi improvvisamente intuito le mie miserie e fragilità, ho pianto molto e ho capito che dovevo cambiare la mia vita e relazionarmi in maniera diversa con Dio. È cominciata così la mia conversione, incrementando anche la frequentazione della Chiesa, finché a Montevergine (AV) non ho incontrato padre Jean Baptist, sacerdote originario del Benin (Diocesi Kandi-Benin), specializzatosi a Roma. Siamo diventati amici e, dopo che mi ha mostrato le carenze d’acqua nel suo villaggio, gli ho donato un pozzo. Quando è tornato in Africa, mi ha fatto promettere che sarei andato a trovarlo. Nel 2012 l’ho raggiunto e ho cominciato a guardare l’Africa con occhi nuovi, mi sono reso conto della vita di sofferenza della popolazione: bambini e adulti che bevevano dalle pozzanghere esponendosi a malattie, quando non la morte, bambini costretti a percorrere chilometri con le taniche in testa per approvvigionarsi dell’acqua. Un pozzo è una fonte di acqua viva utile a diverse comunità, talvolta serve fino a diecimila persone o più (dipende dalla grandezza dei villaggi) e nel tempo, cambia radicalmente la loro vita: cominciano ad allevare animali, a praticare l’agricoltura. L’acqua è di interesse primario: il 60-70 per cento dei nostri fondi li impieghiamo nella costruzione dei pozzi, a cui facciamo seguire attività ambulatoriali, considerando che, per accedere all’assistenza sanitaria, bisognerebbe percorrere centinaia di chilometri e talvolta non c’è il tempo, né la possibilità, di farlo. Molte malattie derivano dalla mancanza di igiene, dal fatto che non ci si può lavare: da una banale diarrea si passa alla febbre, inizia la sofferenza, che diventa acuta, poi grave e infine, può portare alla morte. Un piccolo presidio sanitario, con almeno uno-due infermieri e un medico, serve a trasmettere i fondamenti dell’igiene necessari a prevenire diverse malattie, anche se, per quelle più gravi, bisogna recarsi presso gli ospedali. Agli ambulatori cerchiamo di affiancare la promozione dell’istruzione di base che consenta ai più poveri, che non possono permettersi la scuola, almeno di difendere i diritti propri e della famiglia: l’istruzione emancipa e salva il mondo.                                                                                                                                                                             Come individuate dove costruire un pozzo?    

                                                                                                                                                   

Primo step individuare il punto, poi una sorta di rabdomante, col talento sensibile nelle mani, scopre dove potrebbe esserci più acqua, quindi arriva la trivella, che in genere scava per 4-5 ore, con tutta la popolazione intorno, che festeggia il grande evento, che cambierà la loro la vita. Il primo getto d’acqua, è un vero spettacolo: vediamo la gioia dei bambini e della gente. Documentiamo tutto in diretta e lo postiamo sui social, poi, a fine missione, montiamo un filmato che mostreremo ad amici, conoscenti e benefattori, nonché a chi volesse diventarlo. Vogliamo dimostrare che facciamo opere concrete e cerchiamo di renderci utili, per alleviare almeno in parte, la sofferenza di quelle popolazioni. Realizzare un pozzo costa circa 7-8 mila euro, ma dipende dal luogo, dalla quantità e dalla profondità del terreno. Un ambulatorio sanitario, così come una scuola, costa intorno ai 20-30 mila euro, a seconda delle dimensioni.                                                                                             

Finora abbiamo realizzato 24 pozzi in Benin, uno in Malawi e 5 in Nigeria, che servono una popolazione complessiva di circa 350 mila abitanti.  

                                                                                                                                                                

La strada la preparano i religiosi, che, oltre alle lingue locali, compresi i vari dialetti, parlano inglese, francese ed italiano. Con le loro diocesi, di dimensioni notevoli, sono radicati sul territorio, interloquiscono coi capi villaggio, i quali, al di là dei diversi credo religiosi, convivono senza combattersi. Ogni iniziativa la condividiamo con i capi delle comunità: acqua, sanità, scuola, sono per tutti, cristiani, musulmani, animalisti. Questo ci consente anche di approcciarci a quei territori senza temere per la nostra incolumità.

                                                                                                                                                                                                                                                                      

Con quali modalità raccogliete le risorse necessarie?     

                                                                                                                                       

  I fondi vengono raccolti sia con la promozione di giornate di beneficenza, sia nelle chiese, attraverso l’associazione Regina della Pace e Carità (con sede in Flumeri, AV), finalizzata a promuovere e gestire interventi di cooperazione allo sviluppo e progresso umano, economico e sociale, attraverso la costruzione di pozzi, scuole, ambulatori, orfanotrofi e chiese, nei Paesi in via di sviluppo. Nata allo specifico scopo della missione in Africa, la onlus è composta da 12 persone, 3 delle quali, sacerdoti africani. I sacerdoti, vivendo in Africa, conoscono il territorio e poiché ogni anno vengono in Italia, fermandosi per circa 40 giorni presso le parrocchie, ci aiutano a progettare le sfide che realizzeremo insieme. Sono loro i veri esecutori delle opere: i pozzi si scavano rapidamente in nostra presenza, ma per le altre opere che invece richiedono mesi, noi ogni anno andiamo a verificare ciò che è stato realizzato e lo inauguriamo insieme. Quest’anno abbiamo realizzato 3 pozzi in Benin e altri 3 ne realizzeremo entro fine anno in Nigeria: partiremo il 5 novembre, per tornare il 19. Per l’inizio del 2025 realizzeremo una chiesa e ancora 4 pozzi in Benin, nonché giornate sanitarie e visite agli orfanotrofi locali. Giacché abbiamo costruito tre ambulatori in Benin, tra cui un ospedale della maternità, promuoveremo la formazione sanitaria, invitando le popolazioni limitrofe, alle quali si insegnerà la prevenzione di base e doneremo dei medicinali, che, su indicazione dei medici locali, acquistiamo direttamente in loco o nelle città più grandi, che distano anche fino a 250 km. Spesso i bambini hanno la pancia gonfia dovuta ai vermi, così acquistiamo il farmaco per la sverminazione, che costa un euro e mezzo e salva loro la vita o la tachipirina, utile in caso di febbre alta. Molti bambini vengono abbandonati nella savana, se la famiglia a causa dell’estrema povertà non può mantenerli, oppure se malati o albini (pensano siano indemoniati), così suore, preti e laici, li raccolgono e li portano negli istituti religiosi dotati di orfanotrofi (30-40 posti), che però soffrono difficoltà economiche e alimentari. Quando li visitiamo, doniamo una metà delle offerte in beni materiali, riso, olio e latte in polvere, e il resto, tra i mille e i tremila euro (a seconda di ciò di ciò che siamo riusciti a mettere da parte), lo diamo alla struttura come sostegno economico. Cerchiamo di metterli in condizioni di andare avanti per qualche mese, di dare ai loro ospiti una speranza per il futuro. Nel 2026 in Malawi vorremmo realizzare un orfanotrofio per bambini abbandonati e disabili e 2-3 pozzi, per cui stiamo raccogliendo fondi e invitiamo chiunque potesse e volesse, a contribuire.                                                                                                                                                              

 Che altro fare per aiutare concretamente gli Africani?                            

                                                                                                        

  I governi locali dovrebbero preoccuparsi, per cominciare, di dare l’acqua, consentire l’istruzione e la sanità, che fornirebbe a quelle popolazioni i mezzi per progredire ed essere autonome a casa loro. In tal modo, non avrebbero bisogno di rischiare la vita sui barconi, per illusioni irrealizzabili. Purtroppo i loro governanti sono spesso dittatori che non hanno alcun interesse a metterli in condizioni di autosufficienza, ma preferiscono tenerli nell’ignoranza, per poterli gestire.                                                                                                                  

Dal canto nostro, immersi nel benessere, noi consumiamo cose inutili, sprechiamo e buttiamo. Vorrei esortare a pensare a chi ora sta soffrendo, destinando ciò che per noi è superfluo a chi invece ha necessità basilari. Per dirla con madre Teresa di Calcutta: la condivisione sconfigge la povertà.                                                      

 Siete in procinto di partire per la prossima missione…

                                                                                                                              

 Il 5 novembre partiremo per la Nigeria per due settimane. Sarò accompagnato da due nuovi benefattori, Giovanni Parrella di Motesarchio (BN), e Angela Ciasullo di Flumeri, che documenterà i lavori anche filmando e, per la missione, è riuscita a superare la sua antica paura per gli aghi, poiché ha dovuto vaccinarsi, e persino quella di volare. Ognuno di noi ha sostenuto autonomamente il costo del biglietto (1.000 €) e dei visti (300 €).                                                                                                                                                                              Dal 16 gennaio al 5 febbraio tornerò in Benin, ancora con Angela Ciasullo e i parroci: Don Alessandro Pascale, di Prato Principato Ultra, Don Alberico Grella, di Sturno, Don Rino Morra, di Bisaccia e chiunque volesse aggiungersi”. 

                                                                                                                                                                                                                                  

I prossimi eventi per raccogliere fondi e visionare quanto realizzato in Benin: sabato 30 novembre 2024 alle 20, cena di beneficenza (20 €) presso i Saloni dell’Oratorio ANSPI San Prisco (Via Grotte) a Passo Eclano (AV); domenica 8 dicembre 2024 a Zungoli (AV), ore 13 pranzo di beneficenza (25 €), presso il Convento San Francesco. Ulteriori informazioni (e prenotazioni) su: https://www.reginadellapaceecarita.org

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Ordinanza  di chiusura  Via D’Afflitto

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Si informa la cittadinanza che con Ordinanza della Polizia Municipale è stata disposta  la chiusura temporanea al traffico, con divieto di circolazione veicolare e pedonale lungo Via Vinciguerra (Tribunali)  / Via D’Afflitto / Via Werthmuller (lato Auditorium Comunale) dalle ore 6,00 del  4 novembre 2024 alle ore 24,00 del 15 dicembre 2024, al fine di procedere con i lavori di riqualificazione e rigenerazione del sistema delle Piazze nel centro urbano.

Sarà consentito il transito pedonale esclusivamente indirizzato alle abitazioni dei residenti nell’area direttamente o indirettamente interclusa, nonché all’utenza delle attività produttive ed uffici pubblici ivi ubicati. Inoltre, è concessa deroga al divieto di transito veicolare dei soli mezzi di cantiere e dei veicoli per il carico e scarico merci delle attività produttive ivi ubicate, limitatamente ai tratti progressivamente non interessati dai lavori.

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