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Michele Ciasullo – Prima specie animale colpevole della zoonosi: la nostra!

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Un quadro inedito della pandemia, dall’anima al virus e al suo sviluppo. Medico, Michele Ciasullo è anche presidente dell’Università Popolare Irpina.

Per troppo tempo la medicina ed il suo sistema statistico, si è affidata ad un modello ormai datato di visione riduzionistica della condizione umana. Ma questa terribile tragedia che tutto travolge, nella sua spirale di morte e disperazione, terrore e agonia, non può essere solo un insieme di dati statistici, privi di anima e di quel necessario spessore umano estraneo ai numeri e alle loro regole. Ecco allora balenare alla mente, una verità diversa, quella dell’anima, che grida nel silenzio forzato di eremi dorati, quella verità sinora rimasta inascoltata, sovrastata dall’assordante rumore proveniente dalle perfette, ordinarie esistenze, in una parola, da quella normalità ora negata e relegata nell’angolo delle false certezze e dubitabili verità. Parlo delle nostre miserrime esistenze, sorde alla voce proveniente al di là della nostra isola felice, quella voce proveniente da continenti di affamati, disperati, malati, abbandonati, spaventati e disorientati, proprio come lo siamo noi oggi! Che il mondo fosse nel più grande disastro ecologico mai visto, solo ora lo ascoltiamo, da quando le nostre indubitabili certezze sono malamente crollate sotto il peso di una diversa verità, quella sin qui inascoltata. Era davvero necessario che tutto tacesse, affinché l’anti storia entrasse nella storia! Guerra, violenza, fame, malattie, epidemie, sofferenza di ogni sorta, si realizzavano nell’indifferenza sorda della nostra amata normalità, verità appartenente a mondi lontani dalla coscienza sensibile, molto più interessata ad ascoltare l’io imperante. È proprio vero che ognuno di noi ascolta solo la rassicurante esistenza che si è costruito, in una logica di eutanasia da abbandono. Le zoonosi non hanno mai cessato di fare stragi: Ebola, SARS, Coronavirus e peste bubbonica. Ne fanno parte anche AIDS (30 milioni di morti), tubercolosi bovina, la febbre del Nilo occidentale, il virus di Marburgo, la Rabbia, l’Antivirus sindrome polmonare, l’Antrace, la febbre della Riff Valley, la larva migrano oculare, la febbre emorragica boliviana, malattia della foresta di Kyasanur e una strana afflizione chiamata Encefalite di Nipah, che ha ucciso maiali e allevatori di maiali, in Malesia. Ma tutto questo era solo un fastidioso sottofondo, bastava cambiare canale! Eppure eravamo stati avvisati! Nel 2012 è stato pubblicato un libro: Spillover. L’evoluzione delle pandemie, di David Quammen. Io lo avevo letto l’anno dopo e lo avevo trovato potente e inquietante, eccezionalmente istruttivo. Ma in seguito lo avevo rimosso. L’ho ripreso quando sono cominciate ad arrivare notizie dalla Cina. Prevede con esattezza impressionante quello che sta succedendo, che sarebbe partita da una città della Cina (Wuhan) e dai pipistrelli che sono ubiquitari e sono il 20 % dei mammiferi sulla terra. Sono gli unici uccelli mammiferi e sono estremamente importanti per gli equilibri naturali. Non è colpa loro, ma nostra. Se pensassimo di eliminare tutti i pipistrelli per eliminare la fonte di parecchie epidemie presenti e future, la pagheremmo cara, sarebbe come eliminare tutte le api. C’è una sua intervista su WIRED.IT, nella quale, alla domanda che tutti si fanno, di come abbia fatto a produrre quella che a molti è sembrata una profezia, ha risposto:“Il mio libro essenzialmente ha predetto, in misura piuttosto precisa, ciò che stiamo vedendo: ma non sono stato preveggente, mi sono limitato a riportare in una forma composita ciò che alcuni esperti molto affidabili mi avevano preannunciato. In buona sostanza, ciò che si diceva era: The Next Big One, la prossima grande pandemia, sarebbe 1) stata causata da un virus zoonotico che 2) viene da un animale selvatico, 3) verosimilmente un pipistrello, 4) probabilmente dopo essersi amplificato in un altro tipo di animale prima di passare agli esseri umani 5) poiché gli umani sono venuti forzatamente a contatto con questi animali, 6) molto probabilmente in un wet market 7) magari situato in Cina, e che 8) il nuovo virus si sarebbe rivelato particolarmente pericoloso se le persone contagiate gli avessero offerto un riparo, diffondendolo, prima di accusare alcun sintomo. Suona familiare?”. Come nei migliori gialli dove appare un colpo di scena finale, il libro, alla fine, rivela che il colpevole numero uno delle zoonosi è ancora un’altra specie animale: la nostra. La devastazione ambientale e le deforestazioni, rappresentano un elemento scatenante. “Quando gli alberi cadono e gli animali nativi vengono massacrati, i germi che lì erano contenuti volano come polvere da un magazzino demolito. Li stiamo rimuovendo dai loro limiti ecologici naturali, luoghi in cui non erano molto abbondanti e subivano una feroce concorrenza, anche all’interno di un singolo animale. Li introduciamo invece in un nuovo ricco habitat chiamato popolazione umana, dove possono prosperare in gran numero”.

Se scuoti un albero, qualcosa dall’albero cadrà:ora tutti si chiedono cosa ci aspetta

Intanto, sicuramente la prossima pandemia, dal momento che persistono le condizioni che hanno prodotto questa. Sempre dall’intervista su WIRED, da titolo Il virus siamo noi, nessuno si senta offeso: “Sì, dovremo davvero temere nuovi scoppi di epidemie virali, e sempre più crisi come questa. La cosa peggiore che può succedere con la malattia Covid-19 è che si diffonda fino a diventare una grave pandemia globale, infettando centinaia di milioni di persone e uccidendone milioni. La seconda peggior cosa che può succedere è che riusciamo a controllarla nei prossimi mesi, limitando con successo i danni e i sacrifici… e che quindi poi i politici e altri dicano okay, visto? era un falso allarme, non è mai stato niente di che! e usino questa lettura sbagliata e compiaciuta come scusa per non arrivare preparati alla prossima epidemia. Le ragioni per cui assisteremo ad altre crisi come questa nel futuro sono che 1) i nostri diversi ecosistemi naturali sono pieni di molte specie di animali, piante e altre creature, ognuna delle quali contiene in sé virus unici; 2) molti di questi virus, specialmente quelli presenti nei mammiferi selvatici, possono contagiare gli esseri umani; 3) stiamo invadendo e alterando questi ecosistemi con più decisione che mai, esponendoci dunque ai nuovi virus e 4) quando un virus effettua uno spillover, un salto di specie da un portatore animale non-umano agli esseri umani, e si adatta alla trasmissione uomo-uomo, beh, quel virus ha vinto la lotteria: ora ha una popolazione di 7.7 miliardi di individui che vivono in alte densità demografiche, viaggiando in lungo e in largo, attraverso cui può diffondersi. Quando un virus degli scimpanzé, per es., fa il salto per diventare un virus dell’uomo, ha aumentato enormemente il suo potenziale di successo evolutivo. Un esempio? Il virus che chiamiamo Hiv-1”. Alla fine tornerà tutto come prima, e potremmo tornare a fare baldoria, appena arriva l’estate, o dovremo fare ancora fare i conti col virus? Alcuni si chiedono se da questo evento nascerà un uomo nuovo e, se sarà migliore o peggiore. Dal 1347 al 1351 il mondo e l’Europa furono devastate dalla peste nera che fece 30 milioni di morti. I cronisti dell’epoca riferiscono: “le campane non suonavano più e i morti non si seppellivano più”. Molti fanno risalire al grande trauma della peste, la fine del medioevo, con la caduta di quelli che per secoli, erano i riferimenti: la chiesa e lo stato, che avevano manifestato tutta la loro impotenza. Ed ecco l’avvento “dell’uomo nuovo” l’uomo dell’Umanesimo e del Rinascimento. E c’è chi, romanticamente, immagina che da questa esperienza anche questa volta incominci un cambio di paradigma. L’uomo nuovo e un nuovo Umanesimo. Io purtroppo non sono fra questi. Il Censis è l’istituto di ricerche sociali più importante in Italia, nel 2018 diceva che gli Italiani erano, per la maggior parte “rancorosi”, nel 2019 erano “stressati”. Ora siccome quelli del 2018 sono gli stessi del 2019, vuol dire che ora siamo rancorosi e stressati. Ma cosa fa lo stress? Lo conosciamo abbastanza bene. Se un topolino viene stressato, in laboratorio, con delle scosse elettriche, sviluppa un’ulcera e col tempo anche il cancro. Se invece viene messo insieme a una cavia più debole, la aggredisce e scarica lo stress. Lo stesso fanno le scimmie antropomorfe. Quando sono stressate si auto aggrediscono, cioè si ammalano, oppure aggrediscono un altro, e in questo caso stanno meglio… è una tragica legge di natura: lo stress si traduce in aggressività, o verso se stessi, o verso gli altri. Adesso dovremmo fare i conti con un tempo di passioni tristi e distruttive: frustrazione, risentimento, rabbia, rancore e stress, cosa dobbiamo aspettarci? Già si cominciano a vedere gli effetti della autoaggressione in atto, sulla salute fisica e psichica, nei prossimi mesi, quando le relazioni sociali si intensificheranno sicuramente vedremo gli effetti dell’aggressività eterodiretta. E concludo con la metafora di Platone della biga trainata da 2 cavalli alati. Uno bianco che cerca di andare verso l’iperuranio, dove abitano le idee e le radici del bene; l’altro è un cavallo nero, di cattiva razza e tira verso il basso, verso le passioni distruttive: risentimento, gelosia, invidia, rabbia, rancore, odio. Quell’auriga siamo noi e dobbiamo essere capaci di non farci trascinare verso il basso dal cavallo nero. Invece di maledire il buio, proviamo ad accendere piccole luci.

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Pallavolo Serie D – Esordio fuori casa per il GSA Pallavolo Ariano

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Dopo aver conquistato nella scorsa stagione la promozione in serie D, la Coppa e la SuperCoppa IrpiniaSannio,  il GSA PALLAVOLO ARIANO sabato 2 novembre scende in campo a Cava dei Tirreni per la prima gara del campionato di serie D maschile.

La partita inizierà alle ore 19.30 per dare avvio ad una nuova fase agonistica che il GSA intende giocare  per l’alta classifica.

Confermato lo staff tecnico con Giulio Filomena e Nico Medici a guidare il gruppo nel quale saranno ancora  G. Santosuosso, L. Guardabascio e R. Caso  punti di riferimento per giovani promettenti come M. Molinario, M. Ninfadoro , C. Capozzi e P.Borriello. La qualità non manca nel resto della squadra con  G. Ricciardi, A. La Luna, L. Schiavo, H. Chiaradonna, A. Iandoli, T. Barrasso , M. Toriello  a disposizione dei tecnici per dimostrare di  valere la categoria.

Per questa importante avventura regionale, la società arianese è pronta  anche a lanciare i giovanissimi dell’Under 17 che già hanno messo in mostra il loro positivo spessore con una vittoria per 3-0 nel debutto casalingo con i pari età dell’Academy nel torneo territoriale di categoria.

Per l’esordio fuori casa gli arianesi dovranno aspettarsi una gara difficile e confrontarsi con un avversario molto solido; il fattore campo può aiutare i cavesi, ma il GSA deve subito metabolizzare le difficoltà della serie regionale e scendere sul parquet con la consapevolezza di saper imporre il proprio gioco  per conquistare la vittoria.

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Giornata delle Forze Armate – Il 4 Novembre ad Ariano la cerimonia per il Giorno dell’Unità Nazionale

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L’Amministrazione Comunale di Ariano Irpino, in una sobria e solenne cerimonia, vuole  commemorare i Caduti di tutte le Guerre, rendere omaggio alle Forze Armate, celebrando la Festa dell’Unità Nazionale, in ricordo della fine della prima Guerra Mondiale.

Appuntamento lunedì 4 novembre 2024 alle ore 10,00 al Piano della Croce presso il Monumento ai Caduti dove, alla presenza delle Autorità Civili, Militari e  Religiose, verrà   deposta la   Corona di alloro, sulle note dell’Inno Nazionale.

Una  Corona di Alloro verrà deposta anche davanti al busto di Giulio Lusi in Villa Comunale e nell’atrio di Palazzo di Città.

Il messaggio istituzionale  è rivolto alle nostre giovani generazioni, per non dimenticare  i nostri Caduti in Guerra, morti per gli ideali risorgimentali di indipendenza, di libertà, di democrazia che hanno determinato l’Unità d’Italia ed esprimere riconoscenza per coloro che ancora oggi rischiano la vita al Servizio della Comunità.

La cittadinanza  è invitata a partecipare.

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Roberto Zaffiro: vi racconto la mia Africa e vi invito a diventare benefattori

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Imprenditore nel settore edile (azienda di dieci dipendenti), insieme ad altri due fratelli, sposato e con due figli, Roberto Zaffiro, con il pieno sostegno della famiglia, si dedica anima e corpo alla missione che lo appassiona e gratifica di più: dalla costruzione di pozzi e scuole, ai presidi ospedalieri, in Africa. Il 5 novembre partirà per la Nigeria e in gennaio per il Benin

“Un tempo ero laico, poi a 37 anni, 20 anni fa, c’è stata la mia conversione, a seguito del viaggio a Medugorje, – ci racconta. Il senso di solidarietà l’ho però sempre avuto nel DNA, tanto che ogni volta che ho girato il mondo, ho sempre elargito del denaro, ai bisognosi che mi è capitato di incontrare”.  

                                                                                                                                            

Quando hai capito che la tua missione era dedicarti in maniera più completa agli altri?                                                                              

 La svolta a seguito del viaggio a Medugorje. Fino ad allora ero stato una sorta di superficiale credente praticante, che girava il mondo, compresa l’Africa, anche in moto, e non dava grande importanza ai sacramenti e alla preghiera. In quel luogo, come se avessi improvvisamente intuito le mie miserie e fragilità, ho pianto molto e ho capito che dovevo cambiare la mia vita e relazionarmi in maniera diversa con Dio. È cominciata così la mia conversione, incrementando anche la frequentazione della Chiesa, finché a Montevergine (AV) non ho incontrato padre Jean Baptist, sacerdote originario del Benin (Diocesi Kandi-Benin), specializzatosi a Roma. Siamo diventati amici e, dopo che mi ha mostrato le carenze d’acqua nel suo villaggio, gli ho donato un pozzo. Quando è tornato in Africa, mi ha fatto promettere che sarei andato a trovarlo. Nel 2012 l’ho raggiunto e ho cominciato a guardare l’Africa con occhi nuovi, mi sono reso conto della vita di sofferenza della popolazione: bambini e adulti che bevevano dalle pozzanghere esponendosi a malattie, quando non la morte, bambini costretti a percorrere chilometri con le taniche in testa per approvvigionarsi dell’acqua. Un pozzo è una fonte di acqua viva utile a diverse comunità, talvolta serve fino a diecimila persone o più (dipende dalla grandezza dei villaggi) e nel tempo, cambia radicalmente la loro vita: cominciano ad allevare animali, a praticare l’agricoltura. L’acqua è di interesse primario: il 60-70 per cento dei nostri fondi li impieghiamo nella costruzione dei pozzi, a cui facciamo seguire attività ambulatoriali, considerando che, per accedere all’assistenza sanitaria, bisognerebbe percorrere centinaia di chilometri e talvolta non c’è il tempo, né la possibilità, di farlo. Molte malattie derivano dalla mancanza di igiene, dal fatto che non ci si può lavare: da una banale diarrea si passa alla febbre, inizia la sofferenza, che diventa acuta, poi grave e infine, può portare alla morte. Un piccolo presidio sanitario, con almeno uno-due infermieri e un medico, serve a trasmettere i fondamenti dell’igiene necessari a prevenire diverse malattie, anche se, per quelle più gravi, bisogna recarsi presso gli ospedali. Agli ambulatori cerchiamo di affiancare la promozione dell’istruzione di base che consenta ai più poveri, che non possono permettersi la scuola, almeno di difendere i diritti propri e della famiglia: l’istruzione emancipa e salva il mondo.                                                                                                                                                                             Come individuate dove costruire un pozzo?    

                                                                                                                                                   

Primo step individuare il punto, poi una sorta di rabdomante, col talento sensibile nelle mani, scopre dove potrebbe esserci più acqua, quindi arriva la trivella, che in genere scava per 4-5 ore, con tutta la popolazione intorno, che festeggia il grande evento, che cambierà la loro la vita. Il primo getto d’acqua, è un vero spettacolo: vediamo la gioia dei bambini e della gente. Documentiamo tutto in diretta e lo postiamo sui social, poi, a fine missione, montiamo un filmato che mostreremo ad amici, conoscenti e benefattori, nonché a chi volesse diventarlo. Vogliamo dimostrare che facciamo opere concrete e cerchiamo di renderci utili, per alleviare almeno in parte, la sofferenza di quelle popolazioni. Realizzare un pozzo costa circa 7-8 mila euro, ma dipende dal luogo, dalla quantità e dalla profondità del terreno. Un ambulatorio sanitario, così come una scuola, costa intorno ai 20-30 mila euro, a seconda delle dimensioni.                                                                                             

Finora abbiamo realizzato 24 pozzi in Benin, uno in Malawi e 5 in Nigeria, che servono una popolazione complessiva di circa 350 mila abitanti.  

                                                                                                                                                                

La strada la preparano i religiosi, che, oltre alle lingue locali, compresi i vari dialetti, parlano inglese, francese ed italiano. Con le loro diocesi, di dimensioni notevoli, sono radicati sul territorio, interloquiscono coi capi villaggio, i quali, al di là dei diversi credo religiosi, convivono senza combattersi. Ogni iniziativa la condividiamo con i capi delle comunità: acqua, sanità, scuola, sono per tutti, cristiani, musulmani, animalisti. Questo ci consente anche di approcciarci a quei territori senza temere per la nostra incolumità.

                                                                                                                                                                                                                                                                      

Con quali modalità raccogliete le risorse necessarie?     

                                                                                                                                       

  I fondi vengono raccolti sia con la promozione di giornate di beneficenza, sia nelle chiese, attraverso l’associazione Regina della Pace e Carità (con sede in Flumeri, AV), finalizzata a promuovere e gestire interventi di cooperazione allo sviluppo e progresso umano, economico e sociale, attraverso la costruzione di pozzi, scuole, ambulatori, orfanotrofi e chiese, nei Paesi in via di sviluppo. Nata allo specifico scopo della missione in Africa, la onlus è composta da 12 persone, 3 delle quali, sacerdoti africani. I sacerdoti, vivendo in Africa, conoscono il territorio e poiché ogni anno vengono in Italia, fermandosi per circa 40 giorni presso le parrocchie, ci aiutano a progettare le sfide che realizzeremo insieme. Sono loro i veri esecutori delle opere: i pozzi si scavano rapidamente in nostra presenza, ma per le altre opere che invece richiedono mesi, noi ogni anno andiamo a verificare ciò che è stato realizzato e lo inauguriamo insieme. Quest’anno abbiamo realizzato 3 pozzi in Benin e altri 3 ne realizzeremo entro fine anno in Nigeria: partiremo il 5 novembre, per tornare il 19. Per l’inizio del 2025 realizzeremo una chiesa e ancora 4 pozzi in Benin, nonché giornate sanitarie e visite agli orfanotrofi locali. Giacché abbiamo costruito tre ambulatori in Benin, tra cui un ospedale della maternità, promuoveremo la formazione sanitaria, invitando le popolazioni limitrofe, alle quali si insegnerà la prevenzione di base e doneremo dei medicinali, che, su indicazione dei medici locali, acquistiamo direttamente in loco o nelle città più grandi, che distano anche fino a 250 km. Spesso i bambini hanno la pancia gonfia dovuta ai vermi, così acquistiamo il farmaco per la sverminazione, che costa un euro e mezzo e salva loro la vita o la tachipirina, utile in caso di febbre alta. Molti bambini vengono abbandonati nella savana, se la famiglia a causa dell’estrema povertà non può mantenerli, oppure se malati o albini (pensano siano indemoniati), così suore, preti e laici, li raccolgono e li portano negli istituti religiosi dotati di orfanotrofi (30-40 posti), che però soffrono difficoltà economiche e alimentari. Quando li visitiamo, doniamo una metà delle offerte in beni materiali, riso, olio e latte in polvere, e il resto, tra i mille e i tremila euro (a seconda di ciò di ciò che siamo riusciti a mettere da parte), lo diamo alla struttura come sostegno economico. Cerchiamo di metterli in condizioni di andare avanti per qualche mese, di dare ai loro ospiti una speranza per il futuro. Nel 2026 in Malawi vorremmo realizzare un orfanotrofio per bambini abbandonati e disabili e 2-3 pozzi, per cui stiamo raccogliendo fondi e invitiamo chiunque potesse e volesse, a contribuire.                                                                                                                                                              

 Che altro fare per aiutare concretamente gli Africani?                            

                                                                                                        

  I governi locali dovrebbero preoccuparsi, per cominciare, di dare l’acqua, consentire l’istruzione e la sanità, che fornirebbe a quelle popolazioni i mezzi per progredire ed essere autonome a casa loro. In tal modo, non avrebbero bisogno di rischiare la vita sui barconi, per illusioni irrealizzabili. Purtroppo i loro governanti sono spesso dittatori che non hanno alcun interesse a metterli in condizioni di autosufficienza, ma preferiscono tenerli nell’ignoranza, per poterli gestire.                                                                                                                  

Dal canto nostro, immersi nel benessere, noi consumiamo cose inutili, sprechiamo e buttiamo. Vorrei esortare a pensare a chi ora sta soffrendo, destinando ciò che per noi è superfluo a chi invece ha necessità basilari. Per dirla con madre Teresa di Calcutta: la condivisione sconfigge la povertà.                                                      

 Siete in procinto di partire per la prossima missione…

                                                                                                                              

 Il 5 novembre partiremo per la Nigeria per due settimane. Sarò accompagnato da due nuovi benefattori, Giovanni Parrella di Motesarchio (BN), e Angela Ciasullo di Flumeri, che documenterà i lavori anche filmando e, per la missione, è riuscita a superare la sua antica paura per gli aghi, poiché ha dovuto vaccinarsi, e persino quella di volare. Ognuno di noi ha sostenuto autonomamente il costo del biglietto (1.000 €) e dei visti (300 €).                                                                                                                                                                              Dal 16 gennaio al 5 febbraio tornerò in Benin, ancora con Angela Ciasullo e i parroci: Don Alessandro Pascale, di Prato Principato Ultra, Don Alberico Grella, di Sturno, Don Rino Morra, di Bisaccia e chiunque volesse aggiungersi”. 

                                                                                                                                                                                                                                  

I prossimi eventi per raccogliere fondi e visionare quanto realizzato in Benin: sabato 30 novembre 2024 alle 20, cena di beneficenza (20 €) presso i Saloni dell’Oratorio ANSPI San Prisco (Via Grotte) a Passo Eclano (AV); domenica 8 dicembre 2024 a Zungoli (AV), ore 13 pranzo di beneficenza (25 €), presso il Convento San Francesco. Ulteriori informazioni (e prenotazioni) su: https://www.reginadellapaceecarita.org

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