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Modello Corea del Sud applicato al Sud

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Un microscopico e sfacciato virus ha messo in atto cambiamenti che, probabilmente, segneranno un’epoca. Segneranno tutti noi per sempre.

Le polemiche faziose, quelle con rivestimenti di legittimità, trovano linfa nella ‘globale’ possibilità che la tecnologia permette. Con la stessa ‘fame’’ del Covid-19, siamo tutti in grado di sostituirci a legislatori, diventiamo tutti competenti nella difficile mansione delle scelte. Ma non è proprio così. Il modello di terapia contro il virus che virulenta sui media, è quello messo in atto nella Corea del Sud. La Corea del Sud è la patria dell’arte marziale Taekwondo, del brand Samsung. Così, per chiarezza. Dicevamo del Modello. Per quanto è dato sapere, ogni valutazione si basa sui pochi dati che pervengono dal sud della penisola coreana, oltre che dal modo in cui è stata affrontata l’infezione da MERS nel 2015: senza kit diagnostici e con pochissimi DPI. Senza poter assistere adeguatamente i malati. Su una popolazione di poco più di 51 milioni di abitanti, circa 9.000 sono, al 16 marzo, i casi positivi di cui 109 decessi e 1.137 dimessi dagli ospedali. Messa così viene da pensare che da qualche parte ci sia una bacchetta magica. La Repubblica semi-presidenziale di Corea, capitale Seul (circa 11 milioni di abitanti) ha modificato totalmente i protocolli sanitari: nel 2016 ha sperimentato la tenuta della modifica causa la febbre Zika. Contro il Covid-19 è stato predisposto: – la verifica con migliaia di test al giorno (circola voce che siano 20 mila quotidiani) ed elaborati nelle centinaia di cliniche entro 24 ore al massimo. Il test è gratuito se positivo. In caso contrario, è a pagamento; – niente zone rosse, incentivata la comunicazione e la partecipazione dei cittadini, confidando sulla disciplina. – tracciabilità degli spostamenti grazie a cellulari, bancomat, videocamere. Quindi invasione della privacy.

Semplice, verrebbe da dire. Certo. Nei piccoli paesini che spruzzano le colline Irpine come casette del presepe sarebbe possibile contenere il contagio, evitando le occasioni. Eppure qualche pecorella, nera o tinta di altro colore, si distingue per l’insofferenza. Nel Sud comunque sarebbe possibile nelle Comunità con ridotta densità abitativa. Ma non ci sono sufficienti kit diagnostici, pochissimi sono i laboratori attrezzati e autorizzati. E, infine, la ‘’libertà’’ dei nostri concittadini, cozza contro la disciplina, che farebbe accettare la tracciabilità violando (= rinunciando) la privacy. A Paternopoli, a Fontanarosa, a Villamaina, come a Castelfranci o Guardia dei Lombardi o Montemarano, o Castelvetere sul Calore, diciamo un’unica cosa che potrà salvare la loro vita: Irpini, restate in casa. Restate in casa e potrete salvarvi e salvare altre vite!

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“Alba di Carta. Memorie di una prigione”: nel carcere di Avellino la presentazione del libro di Antonio Sauchella

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Mercoledì 9 aprile 2025, alle ore 9:30, presso la Casa Circondariale di Bellizzi (Avellino), si terrà la presentazione del libro “Alba di Carta. Memorie di una Prigione” di Antonio Sauchella, edito da 2000diciassette.

L’evento, organizzato dall’UNPLI di Avellino, rappresenta un importante momento di riflessione sui temi della detenzione, della memoria e della rinascita attraverso la scrittura. Alla presentazione parteciperanno numerosi ospiti istituzionali e del mondo accademico, tra cui la direttrice della Casa Circondariale di Bellizzi, Dott.ssa Maria Rosaria Casaburo, e la psicologa Dott.ssa Saffo Maria Di Maio, vicepresidente dell’Associazione Terra Dorea.

Interverranno inoltre il Prof. Pietro Caterini, dirigente scolastico dell’Istituto De Sanctis D’Agostino Amatucci, l’avvocato Gaetano Aufiero, la Prof.ssa Mirella Napodano e Carlo Mele, Garante dei detenuti di Avellino. Coordinerà l’incontro la giornalista Katiuscia Guarino.

L’autore Antonio Sauchella sarà presente all’evento per raccontare la sua esperienza e il significato profondo della sua opera. A impreziosire la mattinata, anche la lettura della poesia “I molti echi della luce” di Monia Gaita.

Un’iniziativa che sottolinea il valore della cultura come strumento di crescita personale e collettiva, anche nei luoghi più difficili.

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L’opposizione replica a Franza:”Non siamo assenteisti”

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Avevamo deciso di soprassedere, lasciando che il sindaco continuasse a compiacersi urbi et orbi per aver deciso di cambiare le lampadine della pubblica illuminazione, sfruttando finanziamenti dalla chiara matrice “ quelli di prima”, perché derivanti da una convenzione stipulata nel 2005, con il dissenso, le proteste, i ricorsi al TAR, le denunce penali di tutti riferimenti storici di “quelli di adesso”.

Ma l’insistenza con cui si è puerilmente speculato sulle presunte reiterate assenze dei consiglieri di minoranza, ci induce a qualche precisazione:

– il Consiglio Comunale del 4 aprile è stato disertato per concomitanti impegni personali, e anche perché non ci piace andare in Consiglio solo per premere un bottone, e trasmetterci 3000 pagine di documenti (pronti da mesi) tre giorni prima della seduta, rispondendo alle nostre richieste di integrazione solo pochi minuti prima dell’inizio della stessa, è indegno ed equivale a non voler discutere;

  • – continueremo ad assentarci, se del caso, ogni qualvolta verranno calpestate le prerogative e i diritti dei consiglieri tutti (anche quelli che, con sprezzo del ridicolo e della dignità della funzione, dispensano le loro lezioncine di democrazia da Bignami), che in aula consiliare rappresentano la città e non soltanto i propri elettori.

Insomma non si allarmino troppo. Noi continueremo a svolgere il nostro ruolo come sempre abbiamo fatto in questi anni, portando all’attenzione del Consesso argomenti importanti che altrimenti sarebbero stati totalmente ignorati, e cercando di dare dignità ad un organo consiliare sempre più mortificato da una gestione inadeguata.

Altri cerchino di capire che le istituzioni e la democrazia sono una cosa seria. E quando siamo assenti lascino liberi i nostri scranni. perché anche la collocazione in aula fa parte delle regole di funzionamento di un organismo democratico.

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Flobert, nulla è cambiato, la mattanza continua

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L’11 aprile del 1975 esplose la Flobert, la fabbrica produceva fuochi e munizioni per armi giocattolo nel territorio di Sant’Anastasia. Morirono 12 operai con un solo superstite, Ciro Liguoro, testimone vivente della tragedia che sconvolse la comunità anastasiana. Nel giorno della commemorazione dei morti della Flobert, nel teatro Metropolitan di Sant’Anastasia sarà messa in scena “Vite Infrante” di Fioravante Rea, affiancato nella regia da Agostino Chiummariello. Lo spettacolo sarà rappresentato alle 10,00 per gli studenti ed alle 20,00 per la cittadinanza. La sezione ANPI di Sant’Anastasia “Caduti della Flobert” presieduta da Maria Elena Capuano, con gli iscritti, si è fatta carico dell’organizzazione e diffusione dell’evento nelle scuole e comuni della provincia. Sono stati svolti incontri di informazione e formazione sulla sicurezza e salubrità dei luoghi di lavoro con l’intento di diffondere la cultura della prevenzione, tema che coinvolge la parte datoriale, i sindacati, i lavoratori, le istituzioni ed i singoli cittadini. Nei vari incontri è stato posto l’accento sulla necessità dei controlli capillari e costanti delle unità produttive, oggi del tutto insufficienti, in un territorio affetto dalla piaga del lavoro nero. La Flobert è l’esempio di ciò che accadeva e ancor oggi accade: quattro lavoratori muoiono ogni giorno sul posto di lavoro, una strage alla quale ci siamo assuefatti e impotenti osserviamo le inutili commemorazioni. Il lavoratore può essere sacrificato sull’altare della massima competitività in una società capitalistica vocata al solo profitto, costi quel che costi, inclusa la morte del lavoratore. Manca la volontà politica di affrontare alla radice questo dramma, dobbiamo mettere in campo tutte le strategie affinché il lavoratore non ritorni a casa in una bara.

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