Attualità
“Non sapevo neppure il suo nome”, il libro di Roberta Canu
Una 42enne che non avverte più di 20 anni: “se non fosse per gli acciacchi”. Si definisce così, Roberta Canu, sognatrice convinta che ci debba essere sempre spazio per i sogni, non perdendo di vista la realtà. A suo agio nel tempo in cui vive, del quale apprezza le agevolazioni offerte dalla tecnologia alla vita quotidiana, tiene un piede nel passato, così da trarre beneficio dai pregi e insegnamento dai difetti. Già cantante lirica, ama la lettura, i film, i giochi, l’arte, i viaggi nelle città d’arte e cultura. Seppur molto estroversa, nei rapporti interpersonali predilige la qualità alla quantità. Esordisce come scrittrice, pubblicando “Non sapevo neppure il suo nome” (ed Albatros), intenso memoir dedicato al nonno, Osvaldo Longhi, antifascista, prima costretto alla guerra in Africa, poi deportato da Genova in Germania, per lavorare.
Com’è nata l’idea di dedicare un libro a tuo nonno?
Nonno Osvaldo aveva sopportato esperienze estreme, dalle privazioni di cibo e acqua, alla libertà: aveva rischiato la vita per una mira di espansione che non condivideva, provenendo da una famiglia comunista, libera e anarchica. Aveva sopportato la guerra in Africa, tra caldo, insetti, sudore, fatica, fino alla sua stessa deportazione per lavoro coatto in Germania, tra enormi stenti e rischi per sopravvivere. Aveva visto e subìto gli orrori della guerra, l’assurdità delle ingiuste morti dei suoi commilitoni, così come quelle degli aggrediti. Amavo ascoltarle i suoi racconti e ho sempre ritenuto doveroso non scordare le brutture del passato, soprattutto quelle della Seconda Guerra Mondiale, periodo così grigio della nostra storia, su cui è stato detto tanto, ma mai abbastanza. Così, una sera della Memoria del 2019, dopo aver commentato assieme alla mia famiglia le immagini della Shoah, con i ricordi emersi dai racconti, ho deciso cominciare a scrivere, dando seguito a un progetto da tempo in embrione. Molti episodi sono quasi un marchio indelebile nella mia memoria e da quelli ho iniziato, rievocando man mano tutti gli altri. Immaginavo quel giovanotto pieno di forza di volontà, che in Africa rinuncia a un po’ della sua acqua per salvare un commilitone, o la paura di un padre, deportato per ricostruire un Paese nemico, costretto a ingegnarsi per non soccombere: rubando zucchero, recuperando carbone lungo la strada ferrata o patate congelate. Un uomo che assiste allo sfogo di un kapò verso una ragazza incinta, di cui non conosceva nemmeno il nome, massacrata con la baionetta sotto i suoi occhi e mai più dimenticata. Attraverso la sua voce, ho vissuto gli ideali di suo fratello Aleandro, torturato e imprigionato dai nazifascisti, che, condannato a morte, si era visto negare persino l’ultimo desiderio: guardare in faccia il plotone d’esecuzione. Ho vissuto la follia di Eugenio, l’altro fratello, rimasto in guerra con la mente, dopo ben 77 mesi di battaglia. Ho vissuto l’onore della loro madre che, pur senza una lira, rifiuta i soldi di colui che ha denunciato il figlio, perché: “il sangue di mio figlio non si vende”.
Com’era il rapporto con tuo nonno?
Nonno era una persona positiva, con una grande forza: non si è mai lasciato abbattere dagli eventi senza combattere. Appariva burbero, un po’ orso, ma bastavano 5 minuti perché prendesse confidenza, diventando un compagnone. Amava la compagnia dei giovani, e disdegnava alquanto la compagnia di coloro che riteneva sopraffatti dall’età, con pensione e magagne, come unici argomenti di conversazione. Amava giocare, scherzare e passare il tempo con noi nipotine, viziandoci un po’. Raccontandolo al figlio preadolescente di mia cugina Ilaria, che non ha potuto conoscere il bisnonno, l’ho definito un supereroe: per me lo era!
Perché nel libo usi il dialetto genovese?
L’efficacia dei racconti di mio nonno era data proprio dal suo modo “popolare” di raccontare. Non aveva studiato, ma non era un ignorante: si dedicava molto alla lettura, con la quale aveva colmato, seppur solo in parte, le lacune di un periodo in cui la scolarizzazione era privilegio di pochi. Il modo di raccontare, tuttavia, era un pochino sgrammaticato e condito dal suo dialetto. Ho prestato il mio tempo e le mie mani, per riportare la sua voce, senza alterare alcunché.
Come ti sei procurata il materiale, tra cui alcune lettere che riporti nel lavoro?
In realtà è sempre stato sotto il mio naso, faceva parte dei racconti e nulla è mai stato buttato. Mi è bastato riaprire dei cassetti, passare tutto in rassegna e scegliere cosa utilizzare.
Chi dovrebbe conoscere questa storia?
È utile a tutti non dimenticare, ma è fondamentale parlare ai bambini, insegnando loro cosa significava perdere la libertà, della quale loro stessi beneficiano, senza rendersene conto appieno.
Qual è oggi il senso della memoria?
La memoria è uno strumento che dovrebbe impedire di compiere gli errori già fatti; è una delle cose più importanti che abbiamo. Se si dimentica, si è già sconfitti.
Se ci fossero più donne al potere credi che ci sarebbero meno guerre?
L’istinto mi dice di sì. Tendo a credere che una donna abbia un po’ più a cuore il valore di ogni vita.
Cosa fare a tuo avviso per evitare le guerre?
Si dimentica troppo spesso quanto la parola sia potente e quanto, attraverso la diplomazia, si possa ottenere. Attraverso trattative a tavolino, ognuno deve saper rinunciare a qualcosa, ma la lungimiranza, cosa che platealmente manca, dovrebbe far comprendere quanto una rinuncia possa risultare molto più blanda da tollerare, rispetto alle conseguenze che lascia una guerra: politiche, economiche, sociali e, soprattutto, di vite umane distrutte. Auspico che le nuove generazioni, figlie di un periodo in cui la tecnologia è un’arma a doppio taglio, sappiano usare i mezzi a loro disposizione per conoscere il passato, formare le loro menti alla riflessione e che comprendano quanto i “vecchi” valori, uguaglianza e libertà in primis, siano attuali e necessari. Attenzione però: che libero pensiero e libera espressione, non facciano diventare tuttologi che sbandierano la libertà di dire castronerie, parificando l’ignoranza alla conoscenza. La terra non è piatta, solo perché si ha il diritto di dirlo. Spero che si inizi ad amare la storia, che non è quella fatta di date che studiamo tra i banchi di scuola, bensì quella che insegna la gente che quei fatti li ha subìti… basterebbe così poco: ascoltare e leggere, magari anche le storie del mio personale supereroe, nonno Osvaldo.
Roberta Canu
Non sapevo neppure il suo nome
Albatros
pagg. 194 € 12,50
Attualità
Giornata delle Forze Armate – Il 4 Novembre ad Ariano la cerimonia per il Giorno dell’Unità Nazionale
L’Amministrazione Comunale di Ariano Irpino, in una sobria e solenne cerimonia, vuole commemorare i Caduti di tutte le Guerre, rendere omaggio alle Forze Armate, celebrando la Festa dell’Unità Nazionale, in ricordo della fine della prima Guerra Mondiale.
Appuntamento lunedì 4 novembre 2024 alle ore 10,00 al Piano della Croce presso il Monumento ai Caduti dove, alla presenza delle Autorità Civili, Militari e Religiose, verrà deposta la Corona di alloro, sulle note dell’Inno Nazionale.
Una Corona di Alloro verrà deposta anche davanti al busto di Giulio Lusi in Villa Comunale e nell’atrio di Palazzo di Città.
Il messaggio istituzionale è rivolto alle nostre giovani generazioni, per non dimenticare i nostri Caduti in Guerra, morti per gli ideali risorgimentali di indipendenza, di libertà, di democrazia che hanno determinato l’Unità d’Italia ed esprimere riconoscenza per coloro che ancora oggi rischiano la vita al Servizio della Comunità.
La cittadinanza è invitata a partecipare.
Attualità
Roberto Zaffiro: vi racconto la mia Africa e vi invito a diventare benefattori
Imprenditore nel settore edile (azienda di dieci dipendenti), insieme ad altri due fratelli, sposato e con due figli, Roberto Zaffiro, con il pieno sostegno della famiglia, si dedica anima e corpo alla missione che lo appassiona e gratifica di più: dalla costruzione di pozzi e scuole, ai presidi ospedalieri, in Africa. Il 5 novembre partirà per la Nigeria e in gennaio per il Benin
“Un tempo ero laico, poi a 37 anni, 20 anni fa, c’è stata la mia conversione, a seguito del viaggio a Medugorje, – ci racconta. Il senso di solidarietà l’ho però sempre avuto nel DNA, tanto che ogni volta che ho girato il mondo, ho sempre elargito del denaro, ai bisognosi che mi è capitato di incontrare”.
Quando hai capito che la tua missione era dedicarti in maniera più completa agli altri?
La svolta a seguito del viaggio a Medugorje. Fino ad allora ero stato una sorta di superficiale credente praticante, che girava il mondo, compresa l’Africa, anche in moto, e non dava grande importanza ai sacramenti e alla preghiera. In quel luogo, come se avessi improvvisamente intuito le mie miserie e fragilità, ho pianto molto e ho capito che dovevo cambiare la mia vita e relazionarmi in maniera diversa con Dio. È cominciata così la mia conversione, incrementando anche la frequentazione della Chiesa, finché a Montevergine (AV) non ho incontrato padre Jean Baptist, sacerdote originario del Benin (Diocesi Kandi-Benin), specializzatosi a Roma. Siamo diventati amici e, dopo che mi ha mostrato le carenze d’acqua nel suo villaggio, gli ho donato un pozzo. Quando è tornato in Africa, mi ha fatto promettere che sarei andato a trovarlo. Nel 2012 l’ho raggiunto e ho cominciato a guardare l’Africa con occhi nuovi, mi sono reso conto della vita di sofferenza della popolazione: bambini e adulti che bevevano dalle pozzanghere esponendosi a malattie, quando non la morte, bambini costretti a percorrere chilometri con le taniche in testa per approvvigionarsi dell’acqua. Un pozzo è una fonte di acqua viva utile a diverse comunità, talvolta serve fino a diecimila persone o più (dipende dalla grandezza dei villaggi) e nel tempo, cambia radicalmente la loro vita: cominciano ad allevare animali, a praticare l’agricoltura. L’acqua è di interesse primario: il 60-70 per cento dei nostri fondi li impieghiamo nella costruzione dei pozzi, a cui facciamo seguire attività ambulatoriali, considerando che, per accedere all’assistenza sanitaria, bisognerebbe percorrere centinaia di chilometri e talvolta non c’è il tempo, né la possibilità, di farlo. Molte malattie derivano dalla mancanza di igiene, dal fatto che non ci si può lavare: da una banale diarrea si passa alla febbre, inizia la sofferenza, che diventa acuta, poi grave e infine, può portare alla morte. Un piccolo presidio sanitario, con almeno uno-due infermieri e un medico, serve a trasmettere i fondamenti dell’igiene necessari a prevenire diverse malattie, anche se, per quelle più gravi, bisogna recarsi presso gli ospedali. Agli ambulatori cerchiamo di affiancare la promozione dell’istruzione di base che consenta ai più poveri, che non possono permettersi la scuola, almeno di difendere i diritti propri e della famiglia: l’istruzione emancipa e salva il mondo. Come individuate dove costruire un pozzo?
Primo step individuare il punto, poi una sorta di rabdomante, col talento sensibile nelle mani, scopre dove potrebbe esserci più acqua, quindi arriva la trivella, che in genere scava per 4-5 ore, con tutta la popolazione intorno, che festeggia il grande evento, che cambierà la loro la vita. Il primo getto d’acqua, è un vero spettacolo: vediamo la gioia dei bambini e della gente. Documentiamo tutto in diretta e lo postiamo sui social, poi, a fine missione, montiamo un filmato che mostreremo ad amici, conoscenti e benefattori, nonché a chi volesse diventarlo. Vogliamo dimostrare che facciamo opere concrete e cerchiamo di renderci utili, per alleviare almeno in parte, la sofferenza di quelle popolazioni. Realizzare un pozzo costa circa 7-8 mila euro, ma dipende dal luogo, dalla quantità e dalla profondità del terreno. Un ambulatorio sanitario, così come una scuola, costa intorno ai 20-30 mila euro, a seconda delle dimensioni.
Finora abbiamo realizzato 24 pozzi in Benin, uno in Malawi e 5 in Nigeria, che servono una popolazione complessiva di circa 350 mila abitanti.
La strada la preparano i religiosi, che, oltre alle lingue locali, compresi i vari dialetti, parlano inglese, francese ed italiano. Con le loro diocesi, di dimensioni notevoli, sono radicati sul territorio, interloquiscono coi capi villaggio, i quali, al di là dei diversi credo religiosi, convivono senza combattersi. Ogni iniziativa la condividiamo con i capi delle comunità: acqua, sanità, scuola, sono per tutti, cristiani, musulmani, animalisti. Questo ci consente anche di approcciarci a quei territori senza temere per la nostra incolumità.
Con quali modalità raccogliete le risorse necessarie?
I fondi vengono raccolti sia con la promozione di giornate di beneficenza, sia nelle chiese, attraverso l’associazione Regina della Pace e Carità (con sede in Flumeri, AV), finalizzata a promuovere e gestire interventi di cooperazione allo sviluppo e progresso umano, economico e sociale, attraverso la costruzione di pozzi, scuole, ambulatori, orfanotrofi e chiese, nei Paesi in via di sviluppo. Nata allo specifico scopo della missione in Africa, la onlus è composta da 12 persone, 3 delle quali, sacerdoti africani. I sacerdoti, vivendo in Africa, conoscono il territorio e poiché ogni anno vengono in Italia, fermandosi per circa 40 giorni presso le parrocchie, ci aiutano a progettare le sfide che realizzeremo insieme. Sono loro i veri esecutori delle opere: i pozzi si scavano rapidamente in nostra presenza, ma per le altre opere che invece richiedono mesi, noi ogni anno andiamo a verificare ciò che è stato realizzato e lo inauguriamo insieme. Quest’anno abbiamo realizzato 3 pozzi in Benin e altri 3 ne realizzeremo entro fine anno in Nigeria: partiremo il 5 novembre, per tornare il 19. Per l’inizio del 2025 realizzeremo una chiesa e ancora 4 pozzi in Benin, nonché giornate sanitarie e visite agli orfanotrofi locali. Giacché abbiamo costruito tre ambulatori in Benin, tra cui un ospedale della maternità, promuoveremo la formazione sanitaria, invitando le popolazioni limitrofe, alle quali si insegnerà la prevenzione di base e doneremo dei medicinali, che, su indicazione dei medici locali, acquistiamo direttamente in loco o nelle città più grandi, che distano anche fino a 250 km. Spesso i bambini hanno la pancia gonfia dovuta ai vermi, così acquistiamo il farmaco per la sverminazione, che costa un euro e mezzo e salva loro la vita o la tachipirina, utile in caso di febbre alta. Molti bambini vengono abbandonati nella savana, se la famiglia a causa dell’estrema povertà non può mantenerli, oppure se malati o albini (pensano siano indemoniati), così suore, preti e laici, li raccolgono e li portano negli istituti religiosi dotati di orfanotrofi (30-40 posti), che però soffrono difficoltà economiche e alimentari. Quando li visitiamo, doniamo una metà delle offerte in beni materiali, riso, olio e latte in polvere, e il resto, tra i mille e i tremila euro (a seconda di ciò di ciò che siamo riusciti a mettere da parte), lo diamo alla struttura come sostegno economico. Cerchiamo di metterli in condizioni di andare avanti per qualche mese, di dare ai loro ospiti una speranza per il futuro. Nel 2026 in Malawi vorremmo realizzare un orfanotrofio per bambini abbandonati e disabili e 2-3 pozzi, per cui stiamo raccogliendo fondi e invitiamo chiunque potesse e volesse, a contribuire.
Che altro fare per aiutare concretamente gli Africani?
I governi locali dovrebbero preoccuparsi, per cominciare, di dare l’acqua, consentire l’istruzione e la sanità, che fornirebbe a quelle popolazioni i mezzi per progredire ed essere autonome a casa loro. In tal modo, non avrebbero bisogno di rischiare la vita sui barconi, per illusioni irrealizzabili. Purtroppo i loro governanti sono spesso dittatori che non hanno alcun interesse a metterli in condizioni di autosufficienza, ma preferiscono tenerli nell’ignoranza, per poterli gestire.
Dal canto nostro, immersi nel benessere, noi consumiamo cose inutili, sprechiamo e buttiamo. Vorrei esortare a pensare a chi ora sta soffrendo, destinando ciò che per noi è superfluo a chi invece ha necessità basilari. Per dirla con madre Teresa di Calcutta: la condivisione sconfigge la povertà.
Siete in procinto di partire per la prossima missione…
Il 5 novembre partiremo per la Nigeria per due settimane. Sarò accompagnato da due nuovi benefattori, Giovanni Parrella di Motesarchio (BN), e Angela Ciasullo di Flumeri, che documenterà i lavori anche filmando e, per la missione, è riuscita a superare la sua antica paura per gli aghi, poiché ha dovuto vaccinarsi, e persino quella di volare. Ognuno di noi ha sostenuto autonomamente il costo del biglietto (1.000 €) e dei visti (300 €). Dal 16 gennaio al 5 febbraio tornerò in Benin, ancora con Angela Ciasullo e i parroci: Don Alessandro Pascale, di Prato Principato Ultra, Don Alberico Grella, di Sturno, Don Rino Morra, di Bisaccia e chiunque volesse aggiungersi”.
I prossimi eventi per raccogliere fondi e visionare quanto realizzato in Benin: sabato 30 novembre 2024 alle 20, cena di beneficenza (20 €) presso i Saloni dell’Oratorio ANSPI San Prisco (Via Grotte) a Passo Eclano (AV); domenica 8 dicembre 2024 a Zungoli (AV), ore 13 pranzo di beneficenza (25 €), presso il Convento San Francesco. Ulteriori informazioni (e prenotazioni) su: https://www.reginadellapaceecarita.org
Attualità
Ordinanza di chiusura Via D’Afflitto
Si informa la cittadinanza che con Ordinanza della Polizia Municipale è stata disposta la chiusura temporanea al traffico, con divieto di circolazione veicolare e pedonale lungo Via Vinciguerra (Tribunali) / Via D’Afflitto / Via Werthmuller (lato Auditorium Comunale) dalle ore 6,00 del 4 novembre 2024 alle ore 24,00 del 15 dicembre 2024, al fine di procedere con i lavori di riqualificazione e rigenerazione del sistema delle Piazze nel centro urbano.
Sarà consentito il transito pedonale esclusivamente indirizzato alle abitazioni dei residenti nell’area direttamente o indirettamente interclusa, nonché all’utenza delle attività produttive ed uffici pubblici ivi ubicati. Inoltre, è concessa deroga al divieto di transito veicolare dei soli mezzi di cantiere e dei veicoli per il carico e scarico merci delle attività produttive ivi ubicate, limitatamente ai tratti progressivamente non interessati dai lavori.
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