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Speciale Giustizia – Rodolfo Daniele: il caso Palamara non mina la terzietà di giudici e PM che in silenzio, fanno il loro dovere

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Divenuto magistrato a 24 anni, ha lavorato in numerosi uffici giudiziari con funzioni diverse: giudice al Tribunale di Forlì, sostituto alla Procura della Repubblica di Salerno, Pretore mandamentale di San Cipriano Picentino, Pretore circondariale di Salerno, consigliere della Corte d’Appello di Salerno, presidente di sezione del Tribunale di Torre Annunziata, presidente del Tribunale di Ariano Irpino, presidente f.f. del Tribunale di Napoli Nord, presidente di sezione del Tribunale di Benevento e, infine, presidente di sezione della Corte d’Appello di Salerno. Con Rodolfo Daniele abbiamo affrontato gli scottanti temi della giustizia, partendo dallo scandalo Palamara, rispetto al quale proprio in queste ore, è stato chiesto un processo disciplinare per 10 magistrati.

Volevo il cambiamento, ma mi sono lasciato inghiottire dal sistema”, ha detto Palamara, ormai ex presidente dell’ANM. Vacilla la terzietà della magistratura o è un caso sporadico?

Né l’una, né l’altra. Non so se Palamara volesse il cambiamento: so che aveva dato una sistemazione “scientifica” ad un sistema di potere preesistente alla sua nomina a presidente della ANM e alla sua elezione al CSM. Ovviamente, un sistema di potere non si può gestire da solo e in questo Palamara ha avuto molti sodali, dei quali farebbe bene a fare i nomi perché, al momento, ha pagato parzialmente solo l’ex Procuratore Generale della Cassazione Riccardo Fuzio, costretto a precipitose dimissioni, prima che il Presidente della Repubblica lo costringesse a questo passo o il Ministro della Giustizia, iniziasse nei suoi confronti un procedimento disciplinare. Questo sistema di potere, che si basava su una spartizione correntizia dei posti di vertice, era interessato, nell’immediato, al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi negli uffici giudiziari e a qualche assegnazione ministeriale di comodo. In molti uffici abbiamo assistito al conferimento di incarichi di vertice (presidente e procuratore) a magistrati, guarda caso, appartenenti a correnti diverse dell’ANM. Non si può escludere che in prospettiva, come è avvenuto per molti magistrati, Palamara e alcuni suoi sodali, aspirassero anche a una carriera politica o a qualche incarico ben retribuito in Enti o Agenzie statali o partecipate. Quindi non si è trattato di un caso sporadico. Ciò però, non significa che sia stata compromessa la terzietà della magistratura cioè di quelle migliaia di giudici e PM che quotidianamente e in silenzio, anche con rischi personali, fanno il loro dovere. Qui bisogna sapere che il capo di un ufficio giudiziario, soprattutto giudicante, ma oggi anche requirente, nella gestione dell’ufficio è vincolato ad una serie di disposizioni normative primarie (leggi) e secondarie (circolari del CSM), che non può violare e giammai un capo può condizionare una decisione giudiziaria: ogni giudice o collegio, è libero nella decisione e soggetto solo alla legge ed ogni PM è libero nelle sue scelte e conclusioni in udienza. In definitiva il conseguimento di un incarico direttivo o semidirettivo è esclusivamente l’appagamento di un’aspirazione di prestigio, che si accompagna sempre a pesanti responsabilità amministrative e contabili e spesso alla necessità di cambiare ufficio e città con conseguenti spese a carico del magistrato, senza alcun aumento della sua retribuzione né benefit di sorta. Il sistema di potere di cui ho parlato, certamente esecrabile, mirava a gestire il consenso politico-elettorale nell’ambito dell’ANM e del CSM e ad intessere relazioni che, in seguito, avrebbero potuto giovare a chi lo praticava.

Palamara “non vuol rimanere il capro espiatorio del sistema delle correnti, convinto che debbano dimettersi coloro che hanno condiviso i suoi errori, comprese le cene politiche”. Come superare la commistione tra politica e magistratura?

Come ho detto, Palamara non è stato il primo e non era il solo: non voler essere l’unico capro espiatorio è giusto e condivisibile. Cominciasse a raccontare quello che sa e molti magistrati, me compreso, se interrogati, potrebbero aiutarlo. Non deve però fare solo i nomi di chi si è rivolto a lui o ad altri come lui. Questi magistrati rientravano in due categorie: quelli che aspiravano ad incarichi per i quali non avevano titoli sufficienti e quindi volevano scavalcare altri colleghi (e questi erano complici del sistema di potere) e quelli invece che, avendo tutti i titoli in regola per un certo incarico, si rivolgevano ai rappresentanti istituzionali nel tentativo, spesso fallito, di non essere scavalcati. Costoro, tra i quali orgogliosamente mi inserisco come vittima, non erano complici del sistema di potere, ma cercavano di difendersi da esso. Palamara deve fare innanzitutto i nomi di chi condivideva la gestione di questo potere. In tempi non sospetti, dissi a molti colleghi che il CSM di cui egli faceva parte, era stato il peggiore che avevo visto in 40 anni di magistratura. Non mi ero sbagliato. Quanto alla commistione tra alcuni magistrati (non la magistratura) e la politica, il problema del suo superamento è molto delicato. È vero che l’attuale CSM (il futuro CSM non si sa) è composto da politici solo per un terzo, ma è anche vero che, in presenza di contrapposizioni correntizie, il loro voto diventa spesso determinante per il conferimento degli incarichi di cui si è detto. Pertanto gli aspiranti a tali incarichi, devono necessariamente cercare il consenso anche in ambito politico. Poi la stretta vicinanza con ambienti esclusivamente politici in ambito ministeriale o presso Agenzie statali, rende i magistrati fuori ruolo molto esposti alle lusinghe dei politici, che possono facilmente sbarazzarsi di loro, in caso di non gradimento. Bisognerebbe allora proibire il fuori ruolo? Potrebbe essere una soluzione, ma priverebbe molte compagini ministeriali dell’apporto indispensabile dei magistrati. Certo è, che dovrebbe essere vietato il rientro nell’ordine giudiziario, sia pure in altro territorio, a quei magistrati che si siano anche soltanto candidati in elezioni politiche o amministrative o abbiano accettato incarichi conferiti da pubblici amministratori. Il magistrato non deve solo essere imparziale, ma deve anche apparire tale.

Quando un magistrato favorisce qualcuno per interesse, amicizia, o politica, per cominciare tradisce il suo codice etico. Come può rivalersi il danneggiato?

In un caso come quello ipotizzato, si è in presenza di un reato (abuso di potere, favoreggiamento, corruzione in atti giudiziari, rivelazione di segreto di ufficio ecc. o addirittura concorso esterno in associazione per delinquere, anche eventualmente di stampo mafioso). In presenza di un reato, ogni danneggiato ha la tutela prevista dalla legge: denuncia il fatto, diventa parte lesa, può costituirsi parte civile nel processo penale che ne consegue o può agire in sede risarcitoria. Il processo penale potrebbe essere accompagnato dall’applicazione di misure cautelari ed amministrative (sospensione dalle funzioni e dallo stipendio fino alla destituzione) e ad esso conseguirebbe inevitabilmente il procedimento disciplinare che, in presenza di un’eventuale condanna, avrebbe un esito scontato.

Per ritrovare credibilità, il sistema Giustizia dovrebbe ricorrere a selezioni dei suoi operatori più rigide, “controllare” il loro operato o cos’altro?

Ritengo che la selezione dei magistrati sia già sufficientemente rigida. Anzi l’aumento esponenziale del numero dei concorrenti (e qui dovremmo aprire un altro discorso sulla mancanza di adeguati filtri già dall’Università) sta comportando l’assegnazione al concorso di temi su argomenti e questioni che il magistrato probabilmente, in 40 anni di lavoro, non dovrà mai affrontare. E questo non è giusto perché si rischia di premiare la fortuna di chi conosce un argomento estremamente specialistico, piuttosto che una diffusa preparazione di base. Certo è che il controllo sull’operato dei magistrati dovrebbe essere più intenso e meno formale. Esistono le valutazioni di professionalità, che però spesso sono stereotipate. In questo bisognerebbe avere più fiducia nei rapporti dei capi degli uffici (i quali, se scrivono qualcosa di negativo, rischiano di doversi addirittura giustificare). Ma se i capi degli uffici vengono talvolta nominati senza averne pieno diritto e magari a fine carriera, come si può pretendere che si facciano nemici?

Come cambia la Giustizia in tempi di Covid-19, è plausibile che, soprattutto nel settore civile, molte udienze si possano fare da remoto, principalmente per iscritto?

Premetto che, essendo ormai in pensione, non ho una diretta esperienza della ripercussione degli ultimi eventi in ambito giudiziario. Ma ho mantenuto una serie di contatti e qualcosa so. Le udienze civili e di lavoro già si fanno da remoto attraverso la trattazione scritta e i giudici, se componenti di un collegio, fanno la camera di consiglio mediante applicativi del tipo Teams, Zoom o altri. La consolle del magistrato, che esiste da anni, consente la lettura degli atti inviati dalle parti per via telematica, la redazione ed il deposito del provvedimento direttamente sulla workstation del cancelliere. In penale la comparizione degli imputati detenuti in udienza già doveva preferibilmente avvenire in videoconferenza a meno che non fosse necessaria la presenza fisica per un’eventuale ricognizione personale. Resta il grande problema dell’escussione dei testimoni che, a mio avviso, richiede la presenza fisica delle parti. Comunque, superata l’emergenza, gli uffici giudiziari stanno riaprendo agli avvocati ed al pubblico. Purtroppo ogni attività ha subìto un rallentamento che forse sarà difficile recuperare. Ma non è detto che il rallentamento ci sarà anche in futuro. Anzi ho avuto dati statistici relativi ad una maggiore produttività sia dei magistrati che del personale amministrativo in regime di smart working cioè da casa, ovvero quando non sono impegnati in attività di sportello o di ricevimento delle parti e non sono affaticati dagli spostamenti da e per il luogo di lavoro.

Lei è stato Presidente del Tribunale di Ariano Irpino, accorpato nel settembre 2013 a quello di Benevento. Crede sia più facile la commistione di elementi di “interesse” nei piccoli tribunali? Vantaggi e svantaggi di un piccolo Tribunale?

Ciò che è patologico, può accadere sia nei piccoli che nei grandi Tribunali. Dipende in definitiva dalla dirittura morale delle persone. Per il resto, sono fermamente convinto che una riforma della geografia giudiziaria si doveva fare: non era più possibile gestire Tribunali con pochissimi giudici in organico e in presenza delle stesse condizioni di incompatibilità esistenti nei mega Tribunali. Tuttavia la riforma fu fatta molto male, secondo criteri discutibili e piegandosi agli interessi locali più forti. Se aveva una logica accorpare i Tribunali di Ariano, Sant’Angelo dei Lombardi, Melfi ecc., non si capisce perché non siano stati accorpati anche i Tribunali di Larino, Vallo della Lucania, Isernia, Urbino (piccoli come Ariano) e Lagonegro. Per salvare quest’ultimo, data la presenza in loco di un autorevole esponente politico dell’epoca, gli fu accorpato l’ufficio di Sala Consilina, smembrando il territorio della Corte d’Appello di Salerno senza alcun ristoro perché non si ebbe il coraggio di toccare il distretto di Napoli (già rafforzato dal Tribunale di Napoli Nord). Ritengo, senza perifrasi, che il Tribunale di Avellino (con Sant’Angelo) avrebbe dovuto far capo alla Corte d’Appello di Salerno atteso peraltro che già la sezione del Tar e della Commissione Tributaria Regionale, hanno tale giurisdizione. Così come, soppresso Larino, se si voleva salvare la Corte d’Appello di Campobasso, bisognava inserire nel suo territorio il Tribunale di Benevento. Sono state fatte delle ingiustizie e in questo Ariano ha di che lamentarsi: non del fatto però, che sia stata privata del Tribunale.

Talvolta dalle denunce, al rinvio a giudizio, fino alla sentenza passata in giudicato, trascorrono anche più di dieci anni: come abbreviare gli estenuanti tempi della Giustizia?

Occorrerebbe innanzitutto un nuovo Giustiniano o meglio Triboniano, che togliesse dalle leggi il troppo e il vano. Semplificazione drastica delle procedure; unicità del rito civile nella forma più snella (le memorie ad esempio sono di regola la sterile ripetizione di ciò che è esposto nell’atto introduttivo); limitazione all’osso delle nullità, nuovo regime delle notifiche, che garantisca l’effettività della prima notifica al convenuto e all’indagato e poi affidi tutte le altre alla pec ai difensori; disincentivi seri all’appello e soprattutto, al ricorso per Cassazione. Direi addirittura eliminazione del divieto di reformatio in peius in appello. Ma tutto questo avrebbe il consenso politico? E la politica, sarebbe così forte da resistere anche al prevedibile dissenso degli avvocati? Un’ultima provocazione: la prescrizione del reato è un istituto di grande civiltà giuridica. Ma quando lo Stato ha garantito, nei tempi stabiliti, la pronuncia di un suo giudice terzo e imparziale, veramente si può ancora parlare di decorso del termine di prescrizione, cioè di disinteresse dello Stato per quella vicenda?

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Educare alla parità di genere – tra pari”, domani la presentazione del progetto presso la Sala Conferenze del Palazzo degli Uffici

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L’Amministrazione Comunale di Ariano Irpino venerdì 22 novembre 2024 alle ore 10,30 presso la sala Conferenze del Palazzo degli Uffici presenta un progetto che si rivolge  agli studenti della scuola secondaria di II grado per Educare alla parità attraverso l’ innovazione didattica, dal titolo  “Educare alla parità di genere – tra pari”.

Il progetto didattico “Educare alla parità di genere – tra pari” presentato dalla dott.ssa Rossella Schiavo, responsabile del Centro Antiviolenza ANANKE dell’Ambito Territoriale A1 con sede ad Ariano, ha lo scopo di prevenire atti di violenza contro le donne attraverso percorsi educativi e formativi destinati alle studentesse e gli studenti delle scuole secondarie di II grado di Ariano in via sperimentale e nella forma di ricerca – azione.

Il progetto prevede di coinvolgere un numero di studenti delle classi terze e dopo la formazione essi stessi opereranno nei gruppi di studenti del proprio istituto secondo il modello didattico “pear to pear”. 

L’iniziativa nasce dall’intesa tra gli Assessorati all’istruzione e alle Politiche Sociali, l’Azienda Speciale consortile per le politiche sociali dell’Ambito Territoriale A1 e le scuole superiori di Ariano.  Dopo la sperimentazione il progetto sarà esteso alle altre scuole del territorio.

Dopo i saluti di:

Enrico Franza

Sindaco di Ariano Irpino

Laura Cervinaro

Consigliera Provinciale

Augusto Morella

Presidente Azienda speciale consortile per la gestione delle politiche sociali   Provincia di Avellino n. A1

Pasqualino Molinario

Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Ariano Irpino

Grazia Vallone

Assessore all’Istruzione e  alle Politiche Giovanili del Comune di Ariano Irpino

Interverranno:

Rossella Schiavo

Psicologa – Azienda speciale consortile Avellino A1 – Sportello “Ananke”

Tiziana Aragiusto

Dirigente Scolastica, reggente ISS “De Gruttola”

Massimiliano Bosco

Dirigente Scolastico, ISS “Ruggero II”

Giovanni Mingione

Dirigente Scolastico, reggente Liceo “P. P. Parzanese”

Interventi degli studenti

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Rsu Ispettorato del Lavoro: solidarietà alle colleghe aggredite a Sirignano, necessario  garantire sicurezza dei dipendenti

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La Rappresentanza sindacale unitaria dell’Ispettorato territoriale del Lavoro di Avellino, composta da Mario D’Andrea, Carminantonio Vacchiano e
Maria Luisa Candela, nell’esprimere piena solidarietà alle due colleghe aggredite nei giorni scorsi in un’attività commerciale di Sirignano, mentre svolgevano il proprio lavoro, approfittando della presenza in città di alti dirigenti dell’ente, giunti appositamente presso la sede dell’ufficio per manifestare la vicinanza dell’amministrazione per quanto successo e approfondire la vicenda, ha avuto un confronto con il direttore centrale Vigilanza e Sicurezza del Lavoro dell’Ispettorato nazionale, dott. Aniello Pisanti, con il direttore interregionale Inl, dott. Giuseppe Patania, e con il direttore dell’Ispettorato territoriale di Avellino, dott. Francesco Damiani, che nella mattinata di ieri si sono incontrati, a Palazzo di governo, con il Prefetto, Rossana Riflesso.

L’intento della Rsu è individuare soluzioni idonee a gestire una situazione che ormai sta diventando insostenibile per gli ispettori che quotidianamente, nello svolgere le proprie mansioni, si imbattono in situazioni rischiose, diventando nei fatti lo sfogatoio di tensioni sociali, ma anche i destinatari di atteggiamenti e comportamenti incivili e aggressivi, da parte di alcuni degli utenti sottoposti a controlli.

Per quanto ci riguarda, abbiamo quindi chiesto maggiore attenzione e tutela anche per il personale adibito al front office, che costantemente deve rapportarsi con il malcontento dell’utenza, che non di rado degenera in invettive e minacce all’indirizzo degli addetti.

Da parte dei tre dirigenti abbiamo registrato ampia disponibilità a recepire le nostre osservazioni e ad intrattenere un confronto costante, in un’ottica di collaborazione costruttiva, nell’interesse esclusivo dei dipendenti degli uffici, in modo che possano svolgere le proprie funzioni istituzionali nella massima tranquillità.

Venendo al grave espisodio occorso alle colleghe, l’altro giorno, quando le due ispettrici del lavoro si sono presentate e qualificate all’atto dell’accesso ispettivo, il titolare della ditta ha reagito con violenza contro una di loro, strattonandola con forza mentre stava procedendo all’identificazione di una lavoratrice, impedendole di raccoglierne le dichiarazioni, in modo da agevolarne l’allontanamento, anche su energico invito della madre di quest’ultimo, presente nel negozio. Nonostante le ispettrici abbiano immediatamente chiesto l’intervento dei Carabinieri della stazione di Baiano, tramite il 112, che sono sopraggiunti in loco, il titolare della ditta e i suoi congiunti hanno ripetutamente oltraggiato e aggredito verbalmente le ispettrici del lavoro, rovesciando persino il tavolo sul quale stavano redigendo il verbale, colpendo così ad una mano una delle colleghe, procurandole una frattura ad un dito. Si è pertanto reso necessario l’intervento dei sanitari, anche a causa di un malore accusato dall’ispettrice colpita, a seguito della situazione, e il trasporto presso il Pronto Soccorso dell’azienda ospedaliera Moscati di Avellino, dove i medici hanno riscontrato la frattura alla mano e un innalzamento della pressione arteriosa, con una prognosi di 25 giorni.

A seguito di quanto è successo, ci è stato riferito che sarà convocato, in tempi brevi, il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, con l’obiettivo di garantire un maggiore supporto all’attività ispettiva, in termini di forze dell’ordine.

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La lega marcia, mentre l’opposizione tace sulla Questione Meridionale e sul referendum

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La Corte Costituzionale ha assestato un duro colpo alla legge 86/2024 targata Calderoli, ha cassato sette commi e indicato cinque prescrizioni a cui attenersi per riscrivere il testo. La casa è abbattuta ma non polverizzata, e Calderoli è ben determinato a modificare la legge in parlamento. I rilievi della Consulta sono chiari: non si possono trasferire intere materie ma solo specifiche funzioni, la richiesta va motivata e sempre che lo Stato Centrale non sia in grado di svolgere questa funzione nel rispetto del principio di sussidiarietà; la delega al governo per la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) non può essere generica; i LEP non possono essere definiti e rivisti con DPCM (Decreto Presidente Consiglio dei Ministri); deve essere eliminato il criterio della spesa storica e le regioni sono obbligate a  rispettare il patto di stabilità al fine di prevenire inefficienze di sistema e la crescita della spesa pubblica; il parlamento non può solo ratificare le intese, fra il governo e le regioni, ma deve approvarle e rinviarle per un nuovo esame. Le opposizioni esultano, manca, però, un’azione volta a rimettere al centro dell’agenda politica la Questione meridionale, causa ed effetto delle disuguaglianze tra le due aree del paese. Né l’opposizione ha riaffermato la necessità che il referendum, richiesto da oltre 1,2 milioni di cittadini, sia celebrato, in tal modo, si impedisce ai cittadini di partecipare al dibattito pubblico sul regionalismo differenziato, sin ad ora, svolto solo nelle sedi istituzionali oppure nelle segrete stanze. In tal modo il silenzio dell’opposizione rafforza la proposta del governo Meloni di ritenere oramai inutile il referendum e non pongono in campo l’offensiva per spazzare via lo Spacca Italia.

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